Nel teatro Pedrazzoli di Fabbrico, comune della pianura Padana dove la ‘ndrangheta ha scorrazzato per decenni e ancora non demorde, due protagonisti del contrasto alle attività e alle organizzazioni criminali parlano a ruota libera rispondendo alle domande del pubblico e dei promotori, l’associazione “Agende Rosse Rita Atria” di Reggio Emilia. Francesco Maria Caruso, presidente del collegio giudicante di Aemilia, ma anche presidente della corte d’Assise di Bologna che ha condannato Paolo Bellini all’ergastolo per la strage alla stazione, oggi è in pensione e può prendersi qualche libertà in più. Lo dice lui stesso, rispondendo a una domanda del pubblico sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio. Il disegno di legge firmato dal ministro Carlo Nordio e recentemente approvato al Senato rappresenta per il magistrato un passo indietro nella lotta contro le pratiche illecite di chi svolge funzioni pubbliche: “È vero che in tanti casi gli amministratori escono assolti dai processi ma ciò significa che la giustizia funziona in Italia e che un avviso di garanzia non è il male. Il male lo rappresentano quei dieci amministratori su cento che vengono condannati perché il reato è provato oltre ogni ragionevole dubbio. Amministratori che dopo l’abrogazione del reato potranno prendere decisioni non trasparenti e non indirizzate all’intera comunità, ma a favore di qualcuno o contro qualcuno, perseguendo interessi personali senza più nulla temere”.
Dopo quasi un anno di lavoro a Reggio Emilia anche la nuova prefetta Maria Rita Cocciufa parla senza mezzi termini perché “a volte è necessario dire anche cose che non fanno piacere”. Ad esempio che “in una città dove non ci sono particolari problemi di ordine pubblico, di violenza criminale, di morti per strada, resta però di alto livello la capacità di penetrazione delle organizzazioni criminali, in particolare di quelle mafiose, nel ricco sistema economico del territorio”. Penetrazione che “rapina e rovina il mercato”, contro la quale l’uso rigoroso degli strumenti di prevenzione come le interdittive antimafia, i sequestri preventivi, i commissariamenti, restano fondamentali. “Non scorre più il sangue a Reggio Emilia” aggiunge Caruso, “ma lo stillicidio dei soldi pubblici che i mafiosi rubano e controllano”, centinaia e centinaia di milioni di euro stando solo alle ultime inchieste, “toglie risorse fondamentali allo Stato che significano meno sanità pubblica, meno scuole, meno servizi e infrastrutture per la collettività”.
Il recente caso del Consorzio Edilgest, composto da oltre duecento imprese uninominali, al quale la prefetta ha negato l’iscrizione alla White List per il rischio di infiltrazione mafiosa, è oggetto di discussione anche in questo incontro. Dopo quel provvedimento oltre centocinquanta imprenditori si sono riuniti in una neonata associazione chiamata “Contro le mafie” e si sono presentati al pubblico attaccando le interdittive che “impediscono di lavorare”. La risposta di Maria Rita Cocciufa, che di provvedimenti ne ha già firmati 23 dall’inizio dell’anno, richiama il grande lavoro svolto dal gruppo interforze nelle attività di indagine: “Non c’è alcun arbitrio” mentre c’è invece “una corposa giurisprudenza con sentenze arrivate fino al Consiglio di Stato che inquadrano correttamente anche le relazioni famigliari, in particolare per la ‘ndrangheta calabrese, nell’insieme di elementi da considerare a favore del diniego”. Quanto al nome della neonata associazione, “dichiararsi contro le mafie non costa nulla”, dice la prefetta e purtroppo, aggiunge Caruso, “tante volte anche nel fronte ampio dell’antimafia si sono registrati esempi di semplice opportunismo” o di mascheratura dei reali interessi. L’ex presidente del Tribunale di Reggio Emilia ritiene poi inopportuno l’arrivo in città del sindaco di Cutro Antonio Ceraso per tenere a battesimo la neonata associazione. “Non esiste una imprenditoria cutrese da rappresentare o tutelare” dice il magistrato, ed è pericoloso fare delle origini geografiche il discrimine, nel bene o nel male”. Risuonano le parole pronunciate dal giudice sette anni fa durante alcuni interrogatori del processo Aemilia: “La differenza è tra imprenditori onesti o disonesti, non tra imprenditori reggiani o cutresi”.
Ultima riflessione del giudice Caruso è sul complessivo impianto normativo antimafia introdotto in Italia dalla legge Rognoni La Torre di 42 anni fa. Impianto che oggi, a distanza di quasi mezzo secolo, molte voci mettono in discussione e vorrebbero ridimensionare. “Pio La Torre pagò con la morte il 30 aprile 1982 il suo impegno nel contrasto alla mafia siciliana, e la legge 646 che introdusse in Italia il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso fu approvata dal Senato solo in settembre di quell’anno, all’indomani di un altro efferato omicidio, quello del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa”. Ricordiamoci il loro sacrificio e ricordiamo che la normativa oggi ci guida nel perseguire “non solo i membri della associazione mafiosa, ma anche coloro che con essa ci fanno affari”. Come Aemilia insegna.