Mimmo Russo è stato consigliere comunale del partito fino al 2022 e al momento è membro del coordinamento cittadino. Per gli investigatori aveva costittuito un "comitato d'affari con un massone e figlio di un boss". Ai domiciliari il figlio di Filippo Marchese, uno dei più spietati killer dei corleonesi e Achille Andò, indicato come un faccendiere iscritto al Grande Oriente
In cambio dei voti prometteva soldi e posti di lavoro. Metteva il suo sindacato a disposizione dei boss detenuti per fargli ottenere l’affidamento in prova e quindi farli uscire dal carcere. E a fargli la campagna elettorale era il figlio di uno dei più spietati killer dei corleonesi, cioè Filippo Marchese, detto Milinciana (melanzana) tra i killer di Carlo Alberto Dalla Chiesa. Sono queste le accuse che hanno portato in carcere Mimmo Russo, ex capogruppo di Fratelli d’Italia in Consiglio comunale a Palermo. Dopo le indagini di Bari, che hanno portato il Viminale a inviare la commissione d’accesso per valutare le possibili infiltrazioni mafiose nel comune, quelle a Torino sul “re delle tessere” del Pd Salvatore Gallo, adesso tocca dunque al capoluogo siciliano venire scosso dall’ennesima storia di mafia e politica. A differenza della Puglia e del Piemonte, però, questa volta a finire sotto inchiesta è un esponente del partito di Giorgia Meloni. Sindacalista e storico referente dei precari palermitani, Russo è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, voto di scambio politico-mafioso, concorso in estorsione aggravata e concorso in corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio: sarà sottoposto a custodia cautelare in carcere. Sono finiti ai domiciliari, invece, Gregorio Marchese, figlio del killer di Cosa nostra Filippo (detto “Milinciana”, melanzana) e il consulente d’azienda Achille Andò. Il primo è indagato per estorsione aggravata dal metodo mafioso, il secondo per corruzione: per entrambi sono stati disposti gli arresti domiciliari. L’indagine è coordinata dalla procura di Palermo guidata da Maurizio De Lucia ed è condotta dai carabinieri del Comando provinciale.
Chi è Russo: primo consigliere Fdi – Consigliere comunale dal 2001 per quattro mandati di fila, Russo è stato il primo rappresentante di sempre di Fratelli d’Italia a Palazzo delle Aquile: ha infatti aderito al partito di Giorgia Meloni nel 2017, subito dopo essere stato eletto in una lista di centrosinistra (Palermo 2022) che sosteneva l’ex sindaco Leoluca Orlando. Alle Comunali del 2022 si è ricandidato a sostegno dell’attuale sindaco Roberto Lagalla, ma non è stato rieletto. Negli anni Russo ha cambiato numerose casacche: storico esponente del Movimento sociale e poi di Alleanza Nazionale e passato anche dal Movimento per l’autonomia di Raffaele Lombardo e dalla lista Azzurri per le Libertà, che appoggiava l’ex sindaco berlusconiano Diego Cammarata. Al momento è componente del coordinamento cittadino di FdI. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, a partire dal 2002 ha comprato i voti di Cosa nostra con soldi, buoni benzina, promesse di assunzioni in cooperative e supermercati. Grazie a lui, ad esempio, secondo l’accusa hanno trovato lavoro alla Conad l’amante del boss di Brancaccio Stefano Marino e la nuora del capomafia ergastolano Francesco Scimone.
Il figlio del boss Marchese “costola di Russo” – Le indagini, si legge in una nota dei carabinieri, “hanno consentito di acquisire un grave quadro indiziario in ordine al rapporto di reciproca convenienza esistente tra l’amministratore locale del comune metropolitano, in carica sino al giugno del 2022, ed esponenti di Cosa nostra palermitana”. All’ex consigliere la Procura contesta anche di aver provato a cambiare la destinazione d’uso di un terreno agricolo riconducibile ad Andò nella zona di Roccella, su cui doveva sorgere un centro commerciale. Inoltre, è accusato di aver minacciato insieme a Marchese un professionista che lavorava per l’ippodromo della Favorita, allo scopo di fargli ritirare alcune fatture. Il figlio del killer di mafia, scrive il gip nell’ordinanza di custodia, “si è comportato come costola di Russo, attivandosi per promettere assunzioni sia presso l’ippodromo che presso il futuro centro commerciale, in cambio di voti”.
Andò, faccendiere massone – Secondo gli investigatori esisteva “un comitato di interessi, del quale faceva parte anche un faccendiere appartenente alla massoneria, impegnato nella costruzione di un centro commerciale nel capoluogo siciliano”. Il riferimento è ad Andò, che risulta iscritto alla loggia massonica Grande Oriente d’Italia. “Egli manteneva rapporti con esponenti di rilievo della loggia, a livello sia locale che nazionale. Nel corso delle intercettazioni è ad esempio emerso che Andò si è recato in più occasioni presso la sede palermitana della loggia, sita in Palermo Piazzetta P. Speciale n. 9″, si legge nell’ordinanza di misura cautelare firmata dal gip Walter Turturici.
Le accuse dei pentiti e 10 euro al mese dai precari – Ad accusare Russo sono una decina di pentiti di Cosa nostra, provenienti da diversi mandamenti palermitani: “Tutto il Borgo (il quartiere di Borgo Vecchio, ndr) dava i voti a Mimmo Russo perché lui prometteva i posti di lavoro”, racconta Fabio Manno. Salvatore Giordano dello Zen riferisce che il candidato si era offerto di pagare la festa del quartiere in cambio dell’appoggio elettorale, salvo poi tirarsi indietro lamentando che nessuno aveva sostenuto la sua candidata. “È un politico che fa avere posti di lavoro, promette posti di lavoro”, ha spiegato Giordano. Francesco Chiarello, invece, ha rivelato che l’ex consigliere comunale metteva a disposizione dei mafiosi il suo Caf per l’affidamento in prova alternativo al carcere. Circostanza confermata dal pentito Antonino Siragusa, che di quella disponibilità ha approfittato per uscire di prigione: “Era uno di famiglia”, dice riferendosi a Russo. Il politico, scrive il gip, “ha impiegato vari mafiosi” presso l’ufficio, che era anche la sede del suo comitato elettorale per le amministrative 2022. Infine, ancora secondo Chiarello, come sindacalista “pretendeva il pagamento di dieci euro al mese a testa a titolo di spese sindacali” dai tremila lavoratori “ex Pip” palermitani di cui si occupava: un’entrata illegale da trentamila euro al mese.