La legge stabilisce che entro il 10 aprile di ogni anno il ministro dell’Economia presenti alle camere il Def, il Documento di economia e finanza. È il primo passo, quello decisivo, per avviare l’iter del bilancio dello Stato. Ci possono essere delle sorprese, sia negative che positive. L’anno scorso il ministro Giorgetti, truccando un po’ i conti della crescita, ha ricavato i 4 miliardi per ampliare la fiscalizzazione degli oneri sociali voluta da Meloni, poi trasformatisi rapidamente in disavanzo perché i soldi non c’erano.
Quest’anno non sembra che la situazione possa essere ritoccata nello stesso modo. Però la febbre populista di questo governo è sempre più alta e c’è grande attesa per i conti ufficiali del ministero. Il governo Meloni ha deciso di non seguire le regole del ciclo economico-elettorale studiato dagli economisti. Queste regole prevedono che, una volta al comando dopo le elezioni, il governo nei primi due-tre anni sistemi i conti pubblici per poi espandere la spesa nel biennio pre-elettorale. Poiché in Italia si vota ogni anno, è chiaro che la pulsione populista è sempre all’opera. Anche il Def 2024 strizza l’occhio alle prossime elezioni europee che si preannunciano molto calde non solo per l’Italia, ma anche per l’Europa.
Giorgetti ha pensato bene, in via preventiva, di giocarsi in maniera spregiudicata la carta europea. Qualche giorno fa, con inusuale chiarezza e una discreta incoscienza temeraria, il ministro ha dichiarato che non rispetteremo le regole del patto di stabilità e che sicuramente la Commissione europea raccomanderà al Consiglio di aprire nei confronti dell’Italia una procedura per disavanzo eccessivo, con tutte le conseguenze estremamente negative del caso. Dichiarazione di resa anticipata che un ministro dell’Economia non dovrebbe mai fare o astuzia tattica? Secondo il ministro, molti altri Stati sono nella nostra condizione e quindi vale il detto ‘mal comune mezzo gaudio’.
Ciò che colpisce in questa dichiarazione di fallimento è la tranquillità con cui afferma di non volere rispettare le regole fiscali europee. Regole che la destra a suo tempo ha voluto inserire perfino in Costituzione con la modifica dell’art. 81 approvata nel 2012. Un completo cambiamento di rotta, eppure il debito oggi è molto più alto di allora. Del tutto incostituzionale, ma si sa che in materia fiscale la destra non si preoccupa di questi peccatucci.
Perché il ministro Giorgetti si è nascosto preventivamente dietro la prossima stangata europea? Non poteva semplicemente cercare di evitarla anticipando le necessarie misure macroeconomiche? Perché aspettare l’inevitabile? Qui sta il punto nevralgico. La Commissione non si limiterà a constatare lo scostamento, ma indicherà anche le eventuali misure correttive. Allora Giorgetti ai ministri potrà tranquillamente dire che la responsabilità dei sicuri tagli non è sua o del suo governo, ma del cerbero europeo che non comprende la particolare situazione italiana. Ricordiamo poi che le principali misure populiste del 2024, la fiscalizzazione degli oneri e la riduzione dell’Irpef, hanno una durata solo annuale. Per il 2025 bisognerà trovare 15 miliardi solo per rinnovarle, ma le risorse non ci sono con una crescita asfittica e l’inflazione in calo.
Giorgetti, tirando per la giacca l’Europa, sta giocando la sua partita interna contro i due più pericolosi rivali di quella minima prudenza fiscale che è suo compito garantire. Il primo è sicuramente il viceministro Leo, il potente Richelieu fiscale della destra che sta disegnando una riforma del fisco lontanissima dalla Costituzione repubblicana. Tra l’altro, aveva detto molte volte che avrebbe ridotto l’Irpef eliminando gli sconti fiscali, ma non lo ha fatto e ora invece va a caccia del debito ingigantito dai suoi condoni fiscali. L’altro avversario è il segretario del suo partito che ha fatto della moneta fiscale la tenda di ossigeno per la sua sopravvivenza politica. Portato a casa il bottino della flat tax per i ricchi professionisti, ora spinge per altri bonus in varie direzioni, cioè buchi fiscali.
Servirebbe, per contenere il populismo estremista del Governo Meloni e company, un ministro dell’Economia con una grande autorevolezza tecnica, come quella del ministro Daniele Franco del governo Draghi. Oppure una figura che avesse una notevole caratura politica in grado di respingere gli assalti dei leader politici. Ma il ministro leghista non sembra essere né questo e nemmeno quello. Si limita a gestire faticosamente la baracca giorno per giorno senza una qualche visione strategica che ci consenta di uscire dal pantano populista. Se giocassimo a briscola, potrebbe essere paragonato al due di spade quando si gioca a denari. Gli assi si trovano in ben altre mani.
Che il ministro delle finanze italiane si nascondesse dietro l’Europa per salvare la pelle, sua e del governo, è una delle tante, forse troppe, anomalie che la melonieconomics ci sta regalando. Sarebbe anche uno spettacolo comico, se non fosse tragico per i cittadini. Intanto aspettiamo i conti di Giorgetti per capire quale direzione stramba prenderà la narrazione del governo della destra-destra sui conti pubblici per i prossimi anni.