Tra i Paesi del G20, l’Italia è prima in Europa e al quinto posto nel mondo per sostegno pubblico alle fonti fossili. Il nostro Paese eroga più di Stati Uniti, Russia e Arabia Saudita al comparto, a cui, tra il 2020 e il 2022, le istituzioni finanziarie pubbliche dei paesi del G20 e le banche multilaterali di sviluppo hanno concesso sussidi per almeno 142 miliardi di dollari. Lo rivela il nuovo rapporto di Oil Change International e Friends of the Earth Stati Uniti, a cui ha contribuito ReCommon e che ilfattoquotidiano.it pubblica in esclusiva. La maggioranza dei finanziamenti pubblici per il settore – circa il 54% del totale – è destinata al gas (estrazione, produzione, trasporto e stoccaggio), mentre il 32% va a progetti misti di petrolio e gas. Sono le agenzie di credito all’esportazione (Eca) a tirare le fila di questo enorme flusso di denaro: da loro è passato il 65% di tutto il supporto finanziario pubblico destinato al settore tra il 2020 e il 2022. E l’Italia è in prima fila proprio per l’operatività della sua agenzia di credito all’esportazione, Sace. Controllata dal ministero dell’Economia, fra il 2016 e il 2023 Sace ha emesso garanzie per il settore degli idrocarburi (sotto forma di assicurazioni sui progetti o garanzie sui prestiti per la realizzazione) pari a venti miliardi di euro, una fetta importante dei sussidi ambientalmente dannosi (Sad) italiani. Una somma che equivale quasi a una manovra finanziaria. Come ricordano gli autori del report, la finanza pubblica ha un’influenza enorme sulle tipologie di progetti energetici da sviluppare: “Prestiti, sovvenzioni, acquisti di capitale e garanzie riducono il rischio per gli altri investitori perché sono garantiti dal governo e spesso godono di tassi agevolati, cioè inferiori rispetto al mercato e con orizzonti temporali più lunghi. Ciò contribuisce ad attrarre ulteriori investimenti per i progetti proposti”, spiegano.

Sostegno pubblico al fossile: l’Italia eroga più denaro degli Usa – Per la ricerca sono stati analizzati i finanziamenti per l’energia concessi dalle agenzie di credito all’esportazione e dalle istituzioni di finanziamento allo sviluppo dei Paesi del G20, nonché dalle principali banche multilaterali di sviluppo. Tra queste, il gruppo Banca mondiale ha fornito il maggior numero di sussidi diretti ai combustibili fossili, con una media di 1,2 miliardi di dollari all’anno. E il 68% di questo importo è andato al gas. “A causa delle incongruenze e della limitatezza delle informazioni che caratterizza i rapporti ufficiali i dati sono calcolati per difetto”, si sottolinea nel rapporto. Nel triennio preso in considerazione, i Paesi del G20 e le banche multilaterali di sviluppo hanno mediamente erogato fondi pubblici internazionali per i combustibili fossili pari ad almeno 47 miliardi di dollari l’anno, quasi 1,4 volte il sostegno dato alle energie pulite nello stesso periodo (35 miliardi di dollari all’anno). “Il dato proviene da documenti accessibili su database pubblici, integrati da quelli presenti su portali specializzati” spiegano gli autori, che però ritengono la cifra sottostimata a causa della “mancanza di trasparenza delle istituzioni finanziarie e dei governi”. Il sostegno è comunque diminuito rispetto alla media di 68 miliardi di dollari all’anno erogati tra il 2017 e il 2019. Il report sottolinea poi come gli Stati più ricchi siano anche i maggiori responsabili di questo flusso continuo di denaro: dai Paesi del G7 e dslla Corea del Sud, infatti, arrivano il 76% di tutti i finanziamenti internazionali a progetti sui combustibili fossili erogati dai Paesi del G20 e dalle banche multilaterali di sviluppo nello stesso periodo. Tra il 2020 e il 2022 i cinque principali finanziatori di combustibili fossili sono stati il Canada con 10,9 miliardi di dollari, la Corea del Sud con 10 miliardi, il Giappone con 6,9 miliardi di dollari, la Cina (4 miliardi) e l’Italia, con 2,5 miliardi di dollari. Tanto per avere un’idea, gli Stati Uniti seguono con 2,2 miliardi, la Germania è a 2 miliardi, la Russia a 1,3 miliardi di dollari e l’Arabia Saudita a 800 miliardi.

Gli impegni presi, che alcuni Paesi (Italia compresa) hanno tradito – Se i Paesi e le istituzioni rispetteranno gli impegni presi, il 55% del sostegno pubblico al settore terminerà entro la fine del 2024. Ma solo otto dei sedici firmatari del Partenariato per la transizione verso l’energia pulita (Cetp), ossia la dichiarazione di Glasgow sottoscritta in occasione della Cop 2021, hanno avviato politiche di interruzione dei finanziamenti ai combustibili fossili. Si tratta di Regno Unito, Danimarca, Banca europea per gli investimenti, Francia, Finlandia, Nuova Zelanda, Svezia e Canada, che, alla fine del 2022, ha mantenuto l’impegno di porre fine ai finanziamenti pubblici internazionali e si è impegnato a bloccare i sussidi nazionali verso i combustibili fossili nel 2024. Sei Paesi – Belgio, Paesi Bassi, Spagna, Svizzera, Italia e Germania – hanno introdotto nuove politiche che limitano ulteriormente il sostegno al comparto, ma lasciano aperte notevoli scappatoie. Cinque Stati, inoltre, hanno violato i propri impegni sovvenzionando nuovi progetti nel fossile anche dopo il 31 dicembre 2022, venendo così meno all’accordo sottoscritto nel 2021. Si tratta di Stati Uniti, Germania, Italia, Svizzera e Giappone, che hanno adottato politiche che contengono enormi scappatoie o, come nel caso degli Stati Uniti, non hanno adottato alcuna politica e hanno continuato a finanziare i combustibili fossili. Gli Usa hanno approvato il maggior numero di progetti, per un totale di circa 2,3 miliardi di dollari. Al secondo posto della classifica la Corea del Sud, che non si è ancora impegnata a bloccare i finanziamenti. “La scarsa attuazione della Dichiarazione di Glasgow consente all’Italia di sostenere con soldi pubblici progetti fossili almeno fino al 2028 e, grazie a diverse scappatoie, praticamente per sempre. Al centro di questo sostegno incondizionato c’è Sace”, commenta Simone Ogno di ReCommon. Di fatto, se alla Cop 28 di Dubai, dove è stato annunciato il Fondo per le perdite e i danni dovuti al cambiamento climatico, Canada, Giappone, Italia, Germania, Stati Uniti, Regno Unito e Francia si sono impegnati a stanziare in tutto 414 milioni di dollari, le istituzioni finanziarie pubbliche internazionali dei Paesi presi in esame nel report hanno speso complessivamente 24 miliardi di dollari all’anno, tra il 2020 e il 2022, solo per progetti legati ai combustibili fossili.

Più della metà dei finanziamenti va al gas – Mentre il sostegno al petrolio e al carbone diminuisce, nel triennio analizzato il 56% di tutti i finanziamenti fossili noti è andato al gas (26 miliardi di dollari all’anno), che ha incassato più di qualsiasi altro sottosettore energetico. “Di fronte a questa corsa alla produzione di gas”, raccontano gli autori del report, “le comunità dell’Africa, dell’Asia e del Sud America hanno lanciato l’allarme, sottolineando che i nuovi progetti realizzati per l’esportazione, anziché creare sviluppo, intrappoleranno i Paesi in un circolo vizioso che aumenterà costi, emissioni e impedirà loro l’accesso all’energia e a un’occupazione di qualità”. La quota maggiore (46%) dei finanziamenti dei Paesi del G20 e delle banche multilaterali di sviluppo ha finanziato progetti di trasporto e lavorazione midstream, quali oleodotti, terminali gnl e vettori, che sono le infrastrutture più costose della catena di approvvigionamento di petrolio e gas e, quindi, le più difficili da costruire da parte del settore privato.
Fondi all’energia pulita? Solo per i Paesi ricchi – Le politiche di esclusione del carbone (comprese le politiche cinesi di riduzione dell’utilizzo di carbone e l’accordo tra Ocse e le agenzie Eca) hanno contribuito a eliminare quasi del tutto i finanziamenti pubblici internazionali, calati da una media annuale di dieci miliardi di dollari nel periodo 2017-2019 a due miliardi nel periodo 2020-2022. All’energia pulita, invece, sono andati circa 34 miliardi di dollari all’anno, la media più alta dal 2013 (è stata di 27 miliardi di dollari nel periodo 2017-2019), ma ancora molto al di sotto di quanto servirebbe per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C. I principali finanziatori di energia pulita sono stati la Francia, con 2,7 miliardi di dollari, il Giappone (2,3 miliardi) e la Germania (2,3 miliardi). Ma solo il 3% delle erogazioni è destinato ai Paesi a basso reddito e il 18% a quelli a reddito medio-basso, mentre la stragrande maggioranza dei finanziamenti viene investita nei Paesi ricchi.
Ambiente & Veleni
Finanziamenti pubblici al fossile, l’Italia prima in Europa e quinta al mondo tra i Paesi G20: 2,5 miliardi spesi tra il 2020 e il 2022 | Il report
Il nuovo rapporto di Oil Change International e Friends of the Earth Stati Uniti, a cui ha contribuito ReCommon e che ilfattoquotidiano.it pubblica in esclusiva, rivela come nel triennio i Paesi del G20 abbiano mediamente erogato fondi pubblici per petrolio e gas pari ad almeno 47 miliardi di dollari l’anno
Tra i Paesi del G20, l’Italia è prima in Europa e al quinto posto nel mondo per sostegno pubblico alle fonti fossili. Il nostro Paese eroga più di Stati Uniti, Russia e Arabia Saudita al comparto, a cui, tra il 2020 e il 2022, le istituzioni finanziarie pubbliche dei paesi del G20 e le banche multilaterali di sviluppo hanno concesso sussidi per almeno 142 miliardi di dollari. Lo rivela il nuovo rapporto di Oil Change International e Friends of the Earth Stati Uniti, a cui ha contribuito ReCommon e che ilfattoquotidiano.it pubblica in esclusiva. La maggioranza dei finanziamenti pubblici per il settore – circa il 54% del totale – è destinata al gas (estrazione, produzione, trasporto e stoccaggio), mentre il 32% va a progetti misti di petrolio e gas. Sono le agenzie di credito all’esportazione (Eca) a tirare le fila di questo enorme flusso di denaro: da loro è passato il 65% di tutto il supporto finanziario pubblico destinato al settore tra il 2020 e il 2022. E l’Italia è in prima fila proprio per l’operatività della sua agenzia di credito all’esportazione, Sace. Controllata dal ministero dell’Economia, fra il 2016 e il 2023 Sace ha emesso garanzie per il settore degli idrocarburi (sotto forma di assicurazioni sui progetti o garanzie sui prestiti per la realizzazione) pari a venti miliardi di euro, una fetta importante dei sussidi ambientalmente dannosi (Sad) italiani. Una somma che equivale quasi a una manovra finanziaria. Come ricordano gli autori del report, la finanza pubblica ha un’influenza enorme sulle tipologie di progetti energetici da sviluppare: “Prestiti, sovvenzioni, acquisti di capitale e garanzie riducono il rischio per gli altri investitori perché sono garantiti dal governo e spesso godono di tassi agevolati, cioè inferiori rispetto al mercato e con orizzonti temporali più lunghi. Ciò contribuisce ad attrarre ulteriori investimenti per i progetti proposti”, spiegano.
Sostegno pubblico al fossile: l’Italia eroga più denaro degli Usa – Per la ricerca sono stati analizzati i finanziamenti per l’energia concessi dalle agenzie di credito all’esportazione e dalle istituzioni di finanziamento allo sviluppo dei Paesi del G20, nonché dalle principali banche multilaterali di sviluppo. Tra queste, il gruppo Banca mondiale ha fornito il maggior numero di sussidi diretti ai combustibili fossili, con una media di 1,2 miliardi di dollari all’anno. E il 68% di questo importo è andato al gas. “A causa delle incongruenze e della limitatezza delle informazioni che caratterizza i rapporti ufficiali i dati sono calcolati per difetto”, si sottolinea nel rapporto. Nel triennio preso in considerazione, i Paesi del G20 e le banche multilaterali di sviluppo hanno mediamente erogato fondi pubblici internazionali per i combustibili fossili pari ad almeno 47 miliardi di dollari l’anno, quasi 1,4 volte il sostegno dato alle energie pulite nello stesso periodo (35 miliardi di dollari all’anno). “Il dato proviene da documenti accessibili su database pubblici, integrati da quelli presenti su portali specializzati” spiegano gli autori, che però ritengono la cifra sottostimata a causa della “mancanza di trasparenza delle istituzioni finanziarie e dei governi”. Il sostegno è comunque diminuito rispetto alla media di 68 miliardi di dollari all’anno erogati tra il 2017 e il 2019. Il report sottolinea poi come gli Stati più ricchi siano anche i maggiori responsabili di questo flusso continuo di denaro: dai Paesi del G7 e dslla Corea del Sud, infatti, arrivano il 76% di tutti i finanziamenti internazionali a progetti sui combustibili fossili erogati dai Paesi del G20 e dalle banche multilaterali di sviluppo nello stesso periodo. Tra il 2020 e il 2022 i cinque principali finanziatori di combustibili fossili sono stati il Canada con 10,9 miliardi di dollari, la Corea del Sud con 10 miliardi, il Giappone con 6,9 miliardi di dollari, la Cina (4 miliardi) e l’Italia, con 2,5 miliardi di dollari. Tanto per avere un’idea, gli Stati Uniti seguono con 2,2 miliardi, la Germania è a 2 miliardi, la Russia a 1,3 miliardi di dollari e l’Arabia Saudita a 800 miliardi.
Gli impegni presi, che alcuni Paesi (Italia compresa) hanno tradito – Se i Paesi e le istituzioni rispetteranno gli impegni presi, il 55% del sostegno pubblico al settore terminerà entro la fine del 2024. Ma solo otto dei sedici firmatari del Partenariato per la transizione verso l’energia pulita (Cetp), ossia la dichiarazione di Glasgow sottoscritta in occasione della Cop 2021, hanno avviato politiche di interruzione dei finanziamenti ai combustibili fossili. Si tratta di Regno Unito, Danimarca, Banca europea per gli investimenti, Francia, Finlandia, Nuova Zelanda, Svezia e Canada, che, alla fine del 2022, ha mantenuto l’impegno di porre fine ai finanziamenti pubblici internazionali e si è impegnato a bloccare i sussidi nazionali verso i combustibili fossili nel 2024. Sei Paesi – Belgio, Paesi Bassi, Spagna, Svizzera, Italia e Germania – hanno introdotto nuove politiche che limitano ulteriormente il sostegno al comparto, ma lasciano aperte notevoli scappatoie. Cinque Stati, inoltre, hanno violato i propri impegni sovvenzionando nuovi progetti nel fossile anche dopo il 31 dicembre 2022, venendo così meno all’accordo sottoscritto nel 2021. Si tratta di Stati Uniti, Germania, Italia, Svizzera e Giappone, che hanno adottato politiche che contengono enormi scappatoie o, come nel caso degli Stati Uniti, non hanno adottato alcuna politica e hanno continuato a finanziare i combustibili fossili. Gli Usa hanno approvato il maggior numero di progetti, per un totale di circa 2,3 miliardi di dollari. Al secondo posto della classifica la Corea del Sud, che non si è ancora impegnata a bloccare i finanziamenti. “La scarsa attuazione della Dichiarazione di Glasgow consente all’Italia di sostenere con soldi pubblici progetti fossili almeno fino al 2028 e, grazie a diverse scappatoie, praticamente per sempre. Al centro di questo sostegno incondizionato c’è Sace”, commenta Simone Ogno di ReCommon. Di fatto, se alla Cop 28 di Dubai, dove è stato annunciato il Fondo per le perdite e i danni dovuti al cambiamento climatico, Canada, Giappone, Italia, Germania, Stati Uniti, Regno Unito e Francia si sono impegnati a stanziare in tutto 414 milioni di dollari, le istituzioni finanziarie pubbliche internazionali dei Paesi presi in esame nel report hanno speso complessivamente 24 miliardi di dollari all’anno, tra il 2020 e il 2022, solo per progetti legati ai combustibili fossili.
Più della metà dei finanziamenti va al gas – Mentre il sostegno al petrolio e al carbone diminuisce, nel triennio analizzato il 56% di tutti i finanziamenti fossili noti è andato al gas (26 miliardi di dollari all’anno), che ha incassato più di qualsiasi altro sottosettore energetico. “Di fronte a questa corsa alla produzione di gas”, raccontano gli autori del report, “le comunità dell’Africa, dell’Asia e del Sud America hanno lanciato l’allarme, sottolineando che i nuovi progetti realizzati per l’esportazione, anziché creare sviluppo, intrappoleranno i Paesi in un circolo vizioso che aumenterà costi, emissioni e impedirà loro l’accesso all’energia e a un’occupazione di qualità”. La quota maggiore (46%) dei finanziamenti dei Paesi del G20 e delle banche multilaterali di sviluppo ha finanziato progetti di trasporto e lavorazione midstream, quali oleodotti, terminali gnl e vettori, che sono le infrastrutture più costose della catena di approvvigionamento di petrolio e gas e, quindi, le più difficili da costruire da parte del settore privato.
Fondi all’energia pulita? Solo per i Paesi ricchi – Le politiche di esclusione del carbone (comprese le politiche cinesi di riduzione dell’utilizzo di carbone e l’accordo tra Ocse e le agenzie Eca) hanno contribuito a eliminare quasi del tutto i finanziamenti pubblici internazionali, calati da una media annuale di dieci miliardi di dollari nel periodo 2017-2019 a due miliardi nel periodo 2020-2022. All’energia pulita, invece, sono andati circa 34 miliardi di dollari all’anno, la media più alta dal 2013 (è stata di 27 miliardi di dollari nel periodo 2017-2019), ma ancora molto al di sotto di quanto servirebbe per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C. I principali finanziatori di energia pulita sono stati la Francia, con 2,7 miliardi di dollari, il Giappone (2,3 miliardi) e la Germania (2,3 miliardi). Ma solo il 3% delle erogazioni è destinato ai Paesi a basso reddito e il 18% a quelli a reddito medio-basso, mentre la stragrande maggioranza dei finanziamenti viene investita nei Paesi ricchi.
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Milano, 11 mar. (Adnkronos) - Spike Lee e Adriano Celentano si incontrano a Milano e subito l’ambiente cinematografico, quello televisivo e quello musicale entrano in fibrillazione partorendo mille ipotesi. Per incontrare il regista Usa, Celentano - a quanto apprende l’Adnkronos - ha lasciato la villa di Galbiate e la cosa, sempre più rara, non è passata inosservata. E infatti il motivo era validissimo visto che ad aspettarlo nel capoluogo lombardo c’era il regista newyorkese cult. Riserbo al momento su cosa i due si siano detti e cosa stiano tramando. Forse c’entra il nuovo film del regista americano ‘Highest 2 Lowest’, in uscita in primavera e dato in arrivo al festival di Cannes? Magari la colonna sonora? Si tratta di un thriller poliziesco che è il remake in lingua inglese del film di Akira Kurosawa del 1963 ‘High and Low’. Protagonista è Denzel Washington, alla sua quinta collaborazione con Spike Lee.
Milano, 11 mar. (Adnkronos) - Spike Lee e Adriano Celentano si incontrano a Milano e subito l’ambiente cinematografico, quello televisivo e quello musicale entrano in fibrillazione partorendo mille ipotesi. Per incontrare il regista Usa, Celentano - a quanto apprende l’Adnkronos - ha lasciato la villa di Galbiate e la cosa, sempre più rara, non è passata inosservata. E infatti il motivo era validissimo visto che ad aspettarlo nel capoluogo lombardo c’era il regista newyorkese cult. Riserbo al momento su cosa i due si siano detti e cosa stiano tramando. Forse c’entra il nuovo film del regista americano ‘Highest 2 Lowest’, in uscita in primavera e dato in arrivo al festival di Cannes? Magari la colonna sonora? Si tratta di un thriller poliziesco che è il remake in lingua inglese del film di Akira Kurosawa del 1963 ‘High and Low’. Protagonista è Denzel Washington, alla sua quinta collaborazione con Spike Lee.
Roma, 11 mar. (Adnkronos) - Sport e Salute e la Fitp hanno presentato oggi al Foro Italico le novità per il site degli Internazionali Bnl d’Italia 2025 che tutti gli appassionati, dal 29 aprile al 18 maggio, si troveranno ad apprezzare per l’82esima edizione, una ‘nuova epoca’ del torneo capitolino, in un’atmosfera unica, all’interno di un site più grande, più bello, più funzionale e ricco di fascino. Quest’anno, infatti, il tennis per la prima volta entrerà nello Stadio dei Marmi. Il suggestivo impianto, intitolato alla leggenda Pietro Mennea, conterà tre campi, due da circa 800 spettatori ed uno da oltre 3000 posti la 'Supertennis Arena', che potrebbe avere la suggestione di abbracciare un’altra leggenda dello sport italiano, Jannik Sinner, il primo azzurro della storia a raggiungere il primo posto del ranking Atp e che proprio a Roma farà il suo ritorno alle competizioni, dopo la squalifica di tre mesi.
Per presentare il nuovo progetto con tutte le grandi novità che renderanno ancor più iconico il colpo d’occhio dello splendido parco del Foro Italico, si è tenuta la conferenza stampa alla presenza di Angelo Binaghi (Presidente della Federazione Italiana Tennis e Padel), Marco Mezzaroma (Presidente di Sport e Salute), Andrea Abodi (Ministro per lo Sport e i Giovani), Francesco Rocca (Presidente della Regione Lazio) e Alessandro Onorato (Assessore al Turismo, Grandi Eventi, Sport e Moda del Comune di Roma).
“Quello del Foro Italico era come se fosse un foglio bianco, e un team straordinario con l’ad Diego Nepi, alla guida, ha ridisegnato il Foro Italico del presente e del futuro. Da 10 ettari abbiamo portato il site a 20 ettari. Fino ad oggi poteva contenere circa 33 mila persone, mentre da quest'anno saranno 55 mila. Avremo 34.500 posti a sedere, ben 7500 in più del 2024. Inoltre nel 2025 avremo 21 campi (9 campi da gioco e 12 da allenamento) con 4 campi in più rispetto allo scorso anno", ha sottolineato Mezzaroma.
“Quest’anno puntiamo ad arrivare alle 400mila presenze pagarti e vorremmo superare la soglia di un miliardo di euro di impatto economico sul territorio, nel giro di due o tre anni”, ha aggiunto Binaghi che ha parlato anche di futuro, "Quinto Slam a Roma? La nostra sfida è crescere, abbiate pazienza. Noi secondi dietro il calcio e dietro i grandi Slam non ci vogliamo rimanere a vita. Come Sinner, vogliamo provare ad arrivare in vetta, questo è l'obiettivo. Siamo campioni del mondo nel tennis a squadre, abbiamo il numero uno e dobbiamo essere curiosi e legittimamente ambiziosi, accompagnati per mano dal Governo", ha proseguito il numero uno della Fitp che su Sinner ha poi detto "tre mesi sono il giusto vantaggio che un grande campione come lui doveva dare al resto del mondo. Io non lo disturbo e le uniche volte che Sinner mi chiama sta per succedere un disastro mondiale. Lui aiuta moltissimo il tennis italiano nel processo di crescita e noi lo aiutiamo a essere il campione di uno sport sano, pulito e vincente. La nostra sfida è crescere".
Mentre il ministro Abodi ha sottolineato come "il Foro Italico, è un'eredità del '900, ma da sempre è stato un luogo generoso e se prima era intermittente, oggi offre un palinsesto quotidiano. Qui si celebra lo sport in tutte le sue dimensioni. E' un luogo dell'intrattenimento in senso generale, un luogo di socialità, che diventerà molto facilmente un luogo di destinazione. E c'è ancora margine di miglioramento e non è una logica di gigantismo, ma di opportunità". Poi il ministro per lo sport ha poi concluso: "Invito tutte le altre realtà sportive a prendere la Federtennis come esempio. Non bisogna mai sovrastare o subire gli altri, ci deve essere un miglioramento che sia sistematico".
Tornando sul nuovo site, insieme al Campo Centrale, alla Grand Stand Arena e al ‘Pietrangeli’, la SuperTennis Arena rappresenterà, dunque, uno dei quattro show court del torneo. In totale ci saranno 9 campi da gioco e 12 campi per gli allenamenti dei campioni e delle campionesse attesi al via; menzione speciale, tra quelli riservati alla preparazione, per i due allestiti lungo il Tevere, all’ombra del Ponte della Musica. Il pubblico, che per la prima volta potrà accedere all’impianto direttamente dal suggestivo Viale dell’Impero, che unisce l’Obelisco alla Fontana della Sfera, beneficerà anche di un Fan Village totalmente rinnovato, con spazi e facilities che contribuiranno a rendere indimenticabile l’experience-IBI in questo 2025. La zona delle piscine, riservata anche quest’anno ai giocatori e alle loro squadre, sarà nuovamente collegata al Centrale attraverso quella suggestiva passerella rappresentata dal ponte sospeso. Il progetto e le ‘rivoluzionarie’ novità del site -che passa così da 12 a 20 ettari per soddisfare la sempre più crescente voglia di tennis - rappresentano un doveroso omaggio della città e degli organizzatori per gli storici risultati che i campioni azzurri hanno raccolto nelle ultime stagioni.
Roma, 11 mar. (Adnkronos Salute) - Sono oltre un milione i pazienti ad alto rischio di malattia cardiovascolare in Italia. In 8 casi su 10, non raggiungono gli obiettivi di sicurezza in base alle linee guida internazionali. In questo contesto, va superata "la dicotomia tra prevenzione primaria e prevenzione secondaria: il termine prevenzione primaria implicita una falsa idea di basso rischio cardiovascolare e quindi in una certa tranquillizzazione dei soggetti, anche purtroppo di coloro che, pur non avendo ricevuto danni, hanno più o meno lo stesso rischio di chi li ha già ricevuti". Lo ha detto Pasquale Perrone Filardi, professore presso il dipartimento di Scienze biomediche avanzate, università Federico II di Napoli, intervenendo a 'Voices for Silencing', incontro promosso da Novartis a Milano, il 7-8 marzo, dedicato ai cardiologi e focalizzato sul tema della gestione del paziente a rischio cardiovascolare.
"In termini di prevenzione noi medici, siamo soprattutto focalizzati su soggetti che hanno già subito un evento cardiovascolare ischemico acuto, possa essere stato un infarto miocardico o ictus ischemico. Viceversa - continua Filardi - esiste una larghissima e anche più numerosa fetta di popolazione che è a rischio molto alto e non ha mai subito fortunatamente un evento cardiovascolare acuto. La sfida per la prevenzione del domani e già dell'oggi, è quella di intervenire su questo bacino di soggetti che conosciamo già, grazie alle linee guida europee sulla prevenzione. Sono soggetti ben identificati per gruppi di popolazione in relazione alla presenza, per esempio delle patologie ischemiche, sia coronariche sia carotidee sia dei vasi arteriosi periferici, ma che non hanno ancora generato eventi acuti. Questi pazienti oggi li dobbiamo e li possiamo, anche in regime di rimborsabilità, trattare al meglio possibile per il contenimento del rischio lipidico e non solo. Questo è, per la nostra attività di cardiologi, l'argomento oggi centrale per la futura strategia di prevenzione cardiovascolare".
Diffondere la cultura della prevenzione delle patologie cardiovascolari, che ogni anno causano in Italia oltre 224 mila decessi, è anche l’idea di Fabrizio Oliva, presidente Anmco, Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri, direttore Cardiologia 1 - Emodinamica ospedale Niguarda di Milano. "Dobbiamo parlare in generale di prevenzione, non primaria e secondaria, targettizzata su quello che è il profilo di rischio del paziente - rimarca Oliva - Esistono diversi strumenti che possiamo utilizzare, dagli incontri in cui discutere di quelle che sono le indicazioni delle linee guida, agli audit, alla ricerca osservazionale che vede i singoli sperimentatori e le strutture direttamente protagonisti”. Inoltre, ci sono “le nuove tecnologie, per esempio le app, che possono dare degli alert sia ai cardiologi, sia ai medici sia ai pazienti, sul non raggiungimento dei target e sulle misure che possono essere prese per invece cercare di raggiungerli".
Esiste però ancora un gap tra le raccomandazioni delle linee guida e la gestione reale dei pazienti: "Abbiamo migliorato la situazione - osserva Oliva - C'è una percentuale maggiore di soggetti a target, è aumentato l'utilizzo dell'associazione statine e ezetimibe, ma ancora più del 40% di pazienti nel mondo reale non sono a target, necessitano delle cure di terzo livello ed è importante applicarle".
A proposito di linee guida, Alberico Catapano, direttore di Sisa, Centro per lo studio, prevenzione e terapia della aterosclerosi, della Società italiana di aterosclerosi e professore di Farmacologia all'università degli Studi di Milano, avverte: "Va aggiornata la possibilità per i medici di raggiungere gli obiettivi dettati dalle linee guida, attraverso l’educazione, che spesso manca sia nei medici di medicina generale sia in quelli di specialità, e attraverso un continuo dialogo con le autorità per garantire accesso ai farmaci innovativi utili per raggiungere i goal terapeutici". Le linee guide sono "punti di riferimento su come ottimizzare la pratica clinica e hanno uno sguardo al futuro - specifica Catapano - Quando vengono realizzate e pubblicate hanno dei suggerimenti non semplici da raggiungere. Suggeriscono sempre di guardare il rischio cardiovascolare e per quanto riguarda le dislipidemie, i soggetti ad altissimo rischio, hanno un goal di Ldl inferiore ai 55 mg/decilitro e di 70 per i soggetti ad alto rischio. Siamo distanti. La comunità scientifica deve cominciare ad applicare e avere i mezzi per poter arrivare a questi obiettivi terapeutici che non sempre sono raggiungibili con i farmaci di vecchio stampo e correntemente in uso".
Nelle malattie cardiovascolari la prevenzione resta un punto di partenza essenziale. "Oggi abbiamo a disposizione dei test diagnostici che possono sicuramente aiutare nel prevenire e riconoscere il rischio di una malattia cardiovascolare - sottolinea Maria Rosaria Di Somma, consigliere delegato relazioni esterne Aisc, Associazione italiana scompensati cardiaci - Come il test lp(a)", della lipoporteina "che salva la vita perché, potendo conoscere in anticipo" il rischio di malattia cardiovascolare "si possono mettere a disposizione tutti i mezzi che ha la medicina. Il paziente colpito da malattia cardiovascolare vive anche un disagio psicologico. Il dialogo tra medico e paziente è essenziale - sottolinea Di Somma - è un valore enorme nell’aiutare il paziente a essere aderenti alla terapia, a seguire e riconoscere i sintomi, a riconoscere anche le fasi acute e quindi a capire quando doversi rivolgere al pronto soccorso. C'è però un cambiamento di cultura - conclude - Oggi le associazioni di pazienti partecipano ai processi decisionali sia del ministero della Salute sia dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Un passo importante perché si procede nella direzione di testare la soddisfazione del paziente che poi è il centro del sistema sanitario e dell'assistenza sanitaria".
Roma, 11 mar. (Adnkronos Salute) - In Italia le malattie cardiovascolari causano più di 224 mila decessi in un anno, circa 600 al giorno. Per ridurre l’incidenza delle malattie cardiovascolari e migliorare la salute collettiva, è necessario "educare a tutti i livelli, partendo proprio dalle scuole. Anche i bambini", fin da piccoli, "devono essere educati al concetto di essere responsabili della propria salute". Lo ha detto Emanuela Folco, presidente di Fondazione italiana per il cuore (Fipc) partecipando all’evento dedicato ai cardiologi 'Voices for Silencing', organizzato da Novartis a Milano, il 7-8 marzo sottolineando che "la missione della Fondazione italiana per il cuore è quella di fare una divulgazione rivolta a tutta la popolazione proprio per cercare, nel limite del possibile, che le persone diventino pazienti il più tardi possibile. Il nostro scopo è quello di fare alfabetizzazione sanitaria che ha un ruolo ben preciso nel cammino di salute di ciascuno di noi. Con le nostre campagne e le nostre attività, cerchiamo di educare la persona ad essere responsabile della propria salute, a fare scelte consapevoli a beneficio non solo della propria salute, ma anche della ricaduta sociale sulla società e sul sistema sanitario nazionale".
Le malattie cardio cerebro vascolari sono la prima causa di morte, di ospedalizzazione e di disabilità. "L'obiettivo principale dell'intergruppo è quello di enfatizzare la richiesta al ministero della Salute di un tavolo pratico in cui si parli delle malattie cardiovascolari nel piano nazionale", spiega la senatrice Elena Murelli, membro X Commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato, presidente intergruppo Malattie cardio, cerebro e vascolari. "A inizio legislatura - chiarisce -abbiamo aperto l'intergruppo con l'intento di andare a sottolineare sempre di più quelle che sono le necessità dei pazienti. Il Comitato tecnico scientifico è formato da esperti del settore e da associazioni di pazienti", che sono i primi a "criticarci in modo costruttivo anche sulle problematiche che affrontano quotidianamente, dalla diagnosi alla cura all'aderenza delle terapie. Il tavolo ha quindi l'obiettivo di andare a enfatizzare sempre di più le tematiche relative alle singole patologie sulle malattie cardiovascolari", in sede ministeriale. Le istituzioni hanno un ruolo fondamentale per promuovere un cambiamento culturale che consideri i benefici a lungo termine dei trattamenti.
"Ci deve essere però una collaborazione fra tutti gli stakeholders - evidenzia Murelli - Al tavolo dell’intergruppo abbiamo messo gli esperti scientifici, le aziende farmaceutiche, le associazioni dei pazienti. Lato legislatore, raccogliamo quelle che sono le richieste, le informazioni per poi capire quali sono le problematiche e cercare di risolverle all'interno del sistema sanitario". Sull’accesso alle terapie, per esempio, "c'è troppa disomogeneità all'interno del territorio nazionale", osserva.
La ricerca di quei fattori di rischio cardiovascolare è fondamentale per ridurne l’impatto di queste patologie sulla popolazione e sul servizio sanitario nazionale. "Novartis investe ogni anno, in ricerca e sviluppo, circa 60 milioni di euro con un numero di studi clinici pari a circa 200 ogni anno - ricorda Paola Coco, Chief Scientific Officer and Medical Affairs Head Novartis - Ci siamo focalizzati su 4 aree terapeutiche fondamentali: l'area cardiovascolare, l'area oncologica, l'area delle neuroscienze e l'area dell’immunologia. In queste 4 aree - precisa - stiamo cercando, attraverso piattaforme tecnologiche innovative che si affiancano alle piattaforme più convenzionali, di andare a individuare dei trattamenti sempre più personalizzati per il paziente. In particolare, le terapie cellulari, le terapie geniche, le terapie a base di Rna e le terapie con i radioligandi. Nell'area cardiovascolare è importante il nostro contributo nella ricerca di quei fattori di rischio che concorrono alle patologie che rappresentano ad oggi una delle principali cause di morte e di morbidità", come ad esempio "gli alti livelli di lipoproteina-a. Abbiamo anche recentemente avuto delle importanti acquisizioni di altre aziende. L'idea - conclude - è proprio quella di espandere la leadership in area cardiovascolare anche su altre patologie, come per esempio la prevenzione dell’embolia diffusa e dell'ictus in pazienti con fibrillazione atriale".
Roma, 11 mar. (Adnkronos) - “Mi dedicherò molto alle staff house, le case per i lavoratori. Così da fornire un aiuto agli imprenditori, perché comunque pagare la casa ai propri dipendenti stagionali comporta un costo, e al contempo dare la possibilità ai giovani di rinnamorarsi del turismo, anche perché la casa è un componente importante per la qualità della vita di ciascuno di noi”. Lo afferma il ministro del Turismo, Daniela Santanchè, intervenendo alla quarta edizione di Letexpo – Logistics eco transport, a Verona.
Verona, 11 mar. (Adnkronos) - "Un paese come l’Italia deve leggere dove andrà il mondo. Vederlo prima per poter fare investimenti che ti permettano di essere resilienti nel cambiamento, ma anche di approfittare dei nuovi scenari. Oggi il cambiamento, ad esempio sul mercato americano, che ci potrebbe essere con l'inserimento dei dazi, chiuderà delle porte, ma ne aprirà delle altre. Bisogna capire come il continente sarà in grado di reggere". Così Edoardo Rixi, vice ministro delle infrastrutture e dei trasporti, è intervenuto nella giornata inaugurale di LetExpo, la fiera di riferimento per i trasporti, la logistica, i servizi alle imprese e la sostenibilità, promossa da Alis in collaborazione con Veronafiere. Un evento, in programma fino al 14 marzo, diventato punto di riferimento della filiera, con un focus sulle attuali dinamiche geopolitiche e sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale.
"I porti italiani nel 2024 hanno registrato una crescita di container di oltre il 4% rispetto a ipotesi che erano invece di recessione – aggiunge Rixi – Questo significa che la merce è come un fiume: se si mettono barriere, passa da altre parti. Quello che dobbiamo fare è uniformare i linguaggi tra i sistemi di trasporto, renderli resilienti perché i cambiamenti geopolitici impongono anche una capacità di cyber security sui sistemi logistici sensibili. Deve poi crescere anche la capacità di relazionarsi con Paesi che magari fino a ieri non si ritenevano utili. Ad esempio la Turchia, che nei prossimi anni vedrà un incremento dei corridoi tra il sud est asiatico e l’Europa dopo le tensioni create nel Canale di Panama e nel Mar Rosso”.