La mobilitazione sul clima è partita dai ragazzi, la sentenza storica è arrivata grazie alle nonne. Quelle svizzere, che sono riuscite a far condannare il proprio governo per inazione climatica. È una sentenza storica quella con cui la Corte europea per i diritti dell’uomo (Cedu) dà ragione a un gruppo di oltre 2.500 cittadine anziane, anche se non cancella la delusione per un altro verdetto. Anzi due. Con i quali la Cedu ha ritenuto inammissibili il ricorso presentato da sei giovani portoghesi contro il loro Stato e altre trentuno Paesi (Italia compresa) e la causa sul clima intentata da Damien Carême, ex sindaco di Grande-Synthe, un comune della Francia. Il fascicolo contro la Svizzera e quello presentato dai giovani portoghesi sono giunti alla Corte nel 2020, mentre quello contro la Francia è arrivato l’anno dopo. I togati di Strasburgo hanno deciso che tutti e tre i casi dovevano essere decisi dalla Grande Camera, l’istanza più alta, e anche quella le cui decisioni sono definitive. Nel caso dei giovani portoghesi (‘Claudia Duarte Agostinho e altri’), la Cedu è giunta a questa decisione, in parte perché i ricorrenti non si sono rivolti prima ai tribunali del loro Paese e, in parte, perché gli altri 31 stati non avevano obblighi extraterritoriali nei loro confronti. La corte, quindi, non ha valutato se le politiche di riduzione delle emissioni dei governi (fatta eccezione per quello svizzero, ndr) siano o meno conformi alla Convenzione europea sui diritti dell’uomo, ma rimanda alle vie di ricorso disponibili in Portogallo, ha spiegato il presidente della Corte, Siofra O’Leary, nel pronunciare la decisione.
La Cedu dà ragione all’associazione “Anziane per il clima” – Nel caso della sentenza che dà ragione alle donne svizzere, invece, è la prima volta che un tribunale transnazionale specializzato in diritti umani difende direttamente il diritto alla protezione del clima. La corte stabilisce requisiti specifici che gli Stati membri devono soddisfare per rispettare i propri obblighi in materia di diritti umani. “È solo l’inizio” ha dichiarato l’attivista svedese Greta Thunberg, secondo cui “presto i governi di tutto il mondo saranno chiamati a rispondere in tribunale della loro inazione nei confronti della crisi climatica”.
Il caso nasce dal ricorso presentato dall’associazione elvetica Senior Women for Climate Protection Switzerland (Anziane per il clima Svizzera), un gruppo che oggi rappresenta oltre 2.500 donne, con un’età media di circa 73 anni e da altri singoli querelanti, supportati da Greenpeace Svizzera. Chiedevano alla Corte di obbligare la Svizzera a intervenire a tutela dei loro diritti umani e di adottare i provvedimenti legislativi e amministrativi necessari per contribuire a scongiurare un aumento della temperatura media globale oltre 1,5°C, applicando obiettivi concreti di riduzione delle emissioni. Un caso senza precedenti a cui la Corte aveva dato priorità ed esaminato dalla Grande Camera con diciassette giudici. Secondo i giudici sono stati violati i diritti tutelati dagli articoli 6 e 8 della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo, che garantiscono rispettivamente il diritto alla privacy e alla vita familiare (hanno votato con una maggioranza di sedici voti a uno) e il loro diritto a un processo equo (voto all’unanimità). “Questa decisione sarà di grande importanza per ulteriori cause sul clima contro Stati e aziende in tutto il mondo e aumenterà le loro possibilità di successo” spiega Cordelia Bähr, a capo del team legale delle Anziane per il clima.
Cosa può cambiare – Nell’ambito di questo procedimento, come terza parte anche l’Italia – tramite l’Avvocatura generale dello Stato – aveva presentato una propria memoria, per supportare la posizione della Svizzera. “La sentenza contro la Svizzera crea un precedente storico che si applica a tutti i Paesi europei” commenta Gerry Liston, avvocato del Global Legal Action Network. La sentenza rappresenta una pietra miliare per le controversie sul clima a livello globale. Tutti gli Stati del Consiglio d’Europa, di fatto, potrebbero essere invitati dai loro cittadini a rivedere e, se necessario, rafforzare la loro politica climatica sulla base dei principi sviluppati dalla Cedu per salvaguardare i diritti umani. “Quanto accaduto oggi non si ferma a Strasburgo. Le storie delle KlimaSeniorinnen sono anche all’attenzione della Corte internazionale di giustizia, dove all’inizio del prossimo anno si terranno delle udienze sugli obblighi di giustizia climatica di tutti i governi” ricorda la consulente legale di Greenpeace International Louise Fournier, che ha supportato il team legale delle Anziane per il clima. Secondo l’Unep, il numero di cause climatiche è più che raddoppiato dal 2017 a oggi. Associazioni ambientaliste e organizzazioni esultano per il risultato, ma la Cedu ha riservato anche una cocente delusione, in modo particolare per la sentenza partita dal ricorso dei ragazzi portoghesi.
I ricorsi inammissibili – Per capirne la portata, basta ricordare le parole della commissaria dei diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovic: “Questo caso ha il potenziale per determinare il modo in cui i Paesi affrontano le questioni climatiche e i diritti umani”. Perché questa sentenza avrebbe vincolato giuridicamente e contemporaneamente i governi europei. La battaglia legale dei sei ragazzi portoghesi, invece, è iniziata ufficialmente il 7 settembre 2020, quando i togati della Cedu di Strasburgo hanno accolto in via prioritaria la richiesta avanzata da sei bambini e ragazzi portoghesi, tra gli 8 e i 21 anni che, supportati dalla ong Global Legal Action Network. Catarina (allora 20 anni), Cláudia (21 anni), Mariana (otto anni), Sofia (15 anni), André (12 anni) e Martim (17 anni) hanno portato in Tribunale oltre trenta Paesi, accusandoli di violare i loro diritti, non rispettando gli impegni assunti con la firma dell’accordo di Parigi del 2015, la Cop21. L’idea è nata nel luglio 2017, quando la zona da cui provengono quattro di loro, nel distretto di Leira, ha registrato un caldo record ed è stata distrutta da una serie di incendi che hanno provocato 120 vittime. I fumi provocati dai roghi portarono alla chiusura della scuola di Martim. I fratelli Sofia ed Andrè, di 15 e 12 anni, sono gli unici di Lisbona: durante un’ondata di caldo nell’agosto 2018, la loro città ha registrato una temperatura record di 44°C. Nel corso del procedimento, al fianco degli Stati è intervenuta la Commissione Europea, sostenendo che “l’Ue ha rispettato e sorpassato gli obblighi contenuti nell’accordo di Parigi”. La commissaria Mijatovic, invece, si è schierata a favore dei giovani asserendo, tra l’altro, che la convenzione europea dei diritti umani garantisce una solida base legale per assicurare una protezione a coloro che hanno subito violazioni a causa del cambiamento climatico. Respinto anche il ricorso dell’ex sindaco di Grande-Synthe, che chiedeva di condannare lo Stato francese per l’inattività nei riguardi del clima, sostenendo che questa comportasse il rischio che la sua città venisse sommersa dal Mare del Nord.