Preparando l’ultimo libro—Five easy pieces on water—ho letto parecchi lavori, anche recenti, sul Nilo. Il Padre dei Fiumi, le cui sorgenti misteriose hanno sollevato per millenni una ossessiva curiosità, appare oggi in cronaca soprattutto per il conflitto sulla gestione della GERD, acronimo di Grand Ethiopian Renaissance Dam. Da non confondere con il reflusso gastroesofageo che condivide lo stesso acronimo (GastroEsophageal Reflux Disease) anche se gli effetti della GERD (diga) potrebbero innescare ansie da GERD (patologia) in Sudan e d Egitto.
Le polemiche sull’impatto di valle della GERD non mancano né mancheranno. L’invaso di circa 74 milioni di metri cubi è stato completato nello scorso settembre, senza un accordo sul governo delle acque. E il dossier della GERD si sta surriscaldando dopo che l’Egitto ha accusato l’Etiopia del fallimento degli ultimi colloqui tesi a raggiungere un accordo. L’Egitto, spalleggiato dai Paesi del Golfo, rifiuta qualsiasi azione che violi i diritti egiziani e sudanesi sulle acque del Nilo. L’Etiopia, assieme agli altri sette paesi di monte, rivendica la possibilità di sviluppare progetti idrici senza il previo consenso dell’Egitto. Quando, quanto e come ne sentiremo parlare in futuro, dipenderà dalla generosità di Giove pluvio neo confronti dell’Africa Centro-Orientale.
Gli studi più recenti sul delta del Nilo confermano che la costruzione delle piramidi fu resa possibile dalle acque del fiume. La piramide di Cheope (Khufu) è la più antica tra le sette meraviglie del mondo, protagonista di un paesaggio culturale che affascina l’umanità da migliaia di anni. Giza, situata presso il delta del fiume, giace al confine tra una fertile pianura alluvionale, grande poco più della Lombardia, e il deserto.
Se la tecnica costruttiva delle piramidi è tuttora oscura, almeno in parte, gli storici hanno ormai accettato che gli antichi ingegneri egiziani sfruttarono un antico ramo del Nilo per la loro costruzione. I materiali necessari vennero trasportati sulla via d’acqua fino all’altopiano di Giza, dove la piramide fu forse completata in una ventina di anni, forse dieci per gli egittologi che sposano il metodo del percorso critico. La distanza tra il Nilo e il complesso piramidale di Giza, circa 7 chilometri, metteva in crisi questa congettura, chiaramente la più verosimile per trasportare cantiere due milioni e mezzo di massicci blocchi da 15 se non 60 tonnellate.
La scarsità di prove scientifiche è stata superata da recenti studi paleo-idroecologici che hanno contribuito a ricostruire una storia fluviale lunga 8mila anni per questo tronco del Nilo. Una serie di carote profonde otto metri ha permesso di analizzare la stratificazione dei sedimenti niloti. La ricostruzione dei paesaggi d’acqua dimostra come, 4.500 anni fa, i livelli del fiume fossero più alti (Figura 1). Le piramidi di Giza si riflettevano quindi su un ramo oggi morto del Nilo, chiamato Khufu, che consentiva la navigazione fino al complesso monumentale approdando nel porto costruito a questo scopo (Figura 2).
Dopo gli alti livelli fluviali del periodo umido africano tra 6 e 8mila anni fa, l’Africa Nord-Orientale affrontò una progressiva aridificazione che abbassò progressivamente i livelli del Nilo. Quando fu costruito il complesso piramidale, attorno al ventiseiesimo secolo avanti Cristo, il livello dell’acqua nel ramo Khufu era ancora il 40 percento della quota massima, raggiunta mille anni prima. Anche se non si riesce a valutare la profondità esatta del canale, c’era però abbastanza acqua da consentire alle barche la navigazione lungo il delta fino a Giza.
L’analisi dei pollini intrappolati nelle carote suggerisce anche la possibile ragione della scelta di Giza. I faraoni della Quarta Dinastia abitavano a Memphis, a 16 chilometri da Giza. La stabilità dei livelli idrici di Giza del ramo Khufu rese forse il sito attraente per la realizzazione di costruzioni monumentali.
L’escursione di circa 7 metri dei livelli idrici del Nilo lungo ottomila anni di storia suggerisce anche una certa cautela agli ingegneri di oggi (Figura 3). Abusare in modo acritico dell’assioma di stazionarietà non è sempre lecito. E, domani, non è detto che la natura ripeterà esattamente ciò che abbiamo osservato e misurato ieri.