Il docente, membro dell'European Fiscal Board: "Il documento senza la parte programmatica comporta una carenza dal punto di vista informativo. Molte misure varate con l'ultima legge di Bilancio valgono solo per quest'anno"
Non inserire nel Def la parte programmatica, tenendo coperto l’impatto delle misure che il governo intende adottare nella prossima legge di Bilancio, comporta una “carenza informativa” e consente di indicare nel documento numeri “più rigorosi di quanto siano in realtà”. Ma la strada per il 2025 è già segnata, ricorda Massimo Bordignon, vicepresidente dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica e membro dello European Fiscal Board, un comitato di consulenza del presidente della Commissione europea. Dopo le elezioni europee l’Italia entrerà in procedura di infrazione e dovrà ridurre il proprio deficit primario. Se Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti intendono confermare le misure messe in campo quest’anno, dovranno tagliare altre spese o aumentare le tasse.
Il governo ha approvato un Def senza quadro programmatico invocando la possibilità di “sospendere le vecchie procedure” in vista dell’entrata in vigore del nuovo Patto di stabilità, che prevede l’approvazione di un Piano fiscale strutturale a settembre. Cosa ne pensa?
È vero che la Commissione, in questa fase di transizione in cui le nuove regole sono in attesa dei voti finali in Parlamento e Consiglio Ue e della pubblicazione in Gazzetta, consente di rinviare la compilazione di alcuni quadri. Questo comporta certamente una carenza dal punto di vista informativo, tanto più evidente nel contesto italiano perché molte misure varate con l’ultima manovra valgono solo per quest’anno.
Il ministro Giorgetti ha detto che si punta a mantenere “impegni” come il taglio del cuneo fiscale. In più andranno rifinanziati l’accorpamento di due aliquote Irpef, la decontribuzione per le lavoratrici madri, la detassazione del welfare aziendale, la riduzione del canone, il rinvio di plastic e sugar tax. Il calo del deficit, che stando ai tendenziali nel 2025 scenderà al 3,7% del pil dal 4,3% di quest’anno, è scritto sull’acqua?
Quegli interventi, che costano una ventina di miliardi ovvero un punto di pil, non vengono calcolati nei dati tendenziali. Che quindi appaiono più rigorosi di quanto siano in realtà.
Secondo le opposizioni si vuol mascherare il fatto che dopo le Europee serviranno sacrifici. Del resto la procedura di infrazione per deficit eccessivo è una certezza.
La procedura partirà dopo le elezioni ma sarà con tutta probabilità inglobata nel Piano da presentare entro il 20 settembre sulla base della “traiettoria” stabilita da Bruxelles in base all’analisi di sostenibilità del debito. L’aggiustamento si sposterà quindi sul 2025. Di certo l’Italia dovrà ridurre il deficit primario di almeno lo 0,5% del pil. A quanto ammonti in concreto la correzione non lo sappiamo ancora perché dipende dalla decisione che prenderà Eurostat sulla contabilizzazione dei crediti edilizi a partire da quest’anno.
È credibile, in questo contesto, che il governo possa ottenere dalla Ue il via libera a un nuovo scostamento di bilancio e aumentare il deficit di 7-8 miliardi per finanziare la prossima manovra?
Non credo ci siano margini di contrattazione su questo. Per trovare risorse il governo dovrà compensare con nuove tasse o tagli. Anche perché occorre tenere sotto controllo il debito: nei primi anni di applicazione del nuovo Patto all’Italia non si applicheranno i nuovi vincoli europei su quel fronte, ma i mercati guardano a quell’indicatore. E senza ridurre il disavanzo primario si rischia che torni in azione – in negativo – il cosiddetto “effetto palla di neve“, che si manifesta quando il costo degli interessi supera il tasso di crescita nominale e fa salire il rapporto debito/pil. Negli ultimi anni ha agito a nostro favore perché l’inflazione ha gonfiato il pil nominale, ma dal 2025 la tendenza potrebbe invertirsi. Già dal 2025, idealmente, servirà un avanzo primario.
Stando ai dati “a bocce ferme”, il debito/pil è già in aumento causa impatto dei bonus edilizi e calo dell’inflazione. Quest’anno sale di poco (137,8%), forse grazie al contributo delle discusse privatizzazioni decise dal Tesoro, ma nel 2025 arriverà al 138,9% e nel 2026 al 139,6%. Vede dei rischi?
Per il momento i mercati sono tranquilli. L’Italia tra 2019 e 2023 è cresciuta in termini reali più di Francia, Germania e Spagna, si prevede che i tassi caleranno… Le cose però possono cambiare rapidamente. Abbiamo ancora lo “scudo anti spread” della Bce, ma è riservato ai Paesi che rispettano le regole fiscali comunitarie.
Giorgetti punta a ottenere uno spostamento in avanti dell’orizzonte finale del Pnrr, fissato al 2026. Dopo le elezioni europee sarà un esito possibile?
Per ora i segnali non vanno in questa direzione, ma dipenderà dagli equilibri politici della futura Commissione. Credo sarebbe sensato: vincoli temporali così stretti sono stati previsti per far contenti i Paesi che, per accettare il finanziamento del Recovery con debito comune, hanno voluto che si desse un chiaro segnale del fatto che sarebbe stata un’operazione una tantum. Vedremo se sarà vero.