La pietra comincia a rotolare, dice un vecchio proverbio montanaro. Mercoledì 3 aprile l’avvocata Laura Sgrò ha trasmesso al Dicastero della Dottrina della fede il “Libello” per chiedere giustizia per un gruppo di suore abusate dall’ex gesuita e noto artista di mosaici Marko Rupnik. Il religioso allontanato dalla Compagnia di Gesù è sotto indagine con l’accusa di avere compiuto numerosi abusi ai danni di un gruppo di consacrate della Comunità Loyola, fondata in Slovenia negli anni Novanta.
Nel 2020 era già stato colpito dalla scomunica dal Vaticano. L’allora Congregazione per la Dottrina della fede gli aveva comminato la pena più bruciante: la scomunica latae sententiae, cioè la condanna che avviene nel momento stesso del reato commesso. Nel caso specifico, l’assoluzione data dal colpevole alla persona complice del rapporto consumato. Per motivi mai chiariti, dopo poche settimane Rupnik era stato liberato dalla scomunica. Nel prosieguo, tuttavia, la Compagnia di Gesù aveva accumulato talmente tante prove sugli abusi sessuali, di potere e di coscienza da lui compiuti che nel giugno 2023 lo aveva espulso dall’ordine. Rupnik, però, aveva continuato a essere sacerdote e si era fatto incardinare nella diocesi natale di Capodistria. Contando sul fatto che i reati addebitatigli erano prescritti e che il Vicariato di Roma, all’epoca retto dal cardinale Angelo De Donatis, non sembrava incline a seguire la linea intransigente dei gesuiti, Rupnik contava di fare dimenticare il tutto.
L’ottobre scorso, però, papa Francesco – pressato da più parti – ha deciso di levare l’ostacolo della prescrizione e ha autorizzato l’apertura di un procedimento di indagine. Nel frattempo, come ha comunicato a febbraio la Sala stampa vaticana, l’ex Sant’Uffizio “ha contattato le istituzioni coinvolte a vario titolo nella vicende per riceverne tutte le informazioni disponibili relative al caso”. Il risultato è un corposo fascicolo.
Proprio a febbraio due delle vittime si sono presentate coraggiosamente al pubblico in una conferenza stampa, raccontando il clima di potere e di manipolazione in cui sono avvenuti gli abusi. Si tratta dell’italiana Gloria Branciani e della slovena Mirjam Kovac. Le persone rappresentate ora dall’avvocata Sgrò sono però cinque, il che significa che il gruppo delle vittime che si rivolge al Dicastero per la Dottrina della fede è adesso piuttosto consistente e in grado di offrire un panorama piuttosto completo delle azioni di Rupnik. Per ora i nomi delle altre tre consacrate rimangono riservati.
La sorte ha voluto che subito dopo il passo delle cinque donne, che chiedono giustizia al Vaticano, il prefetto del Dicastero per la Dottrina della fede cardinale Victor Manuel Fernandez abbia pubblicato – su impulso di papa Francesco – una solenne Dichiarazione sulla dignità umana: nel documento c’è un passo assai significativo proprio sugli abusi sessuali. “La profonda dignità che inerisce all’essere umano nella sua interezza di animo e di corpo – afferma il documento – permette anche di comprendere perché ogni abuso sessuale lascia profonde cicatrici nel cuore di chi lo subisce: costui si sente, infatti, ferito nella sua dignità umana”. Si tratta, continua la dichiarazione Dignitas infinita, di sofferenze che possono “durare tutta la vita e a cui nessun pentimento può porre rimedio”. Per questo motivo il documento impegna la Chiesa a “porre fine ad ogni tipo di abuso, iniziando dal suo interno”.
In questo senso – lo dimostra l’impegno di Francesco sin dall’inizio del pontificato quando fece processare, condannare ed espellere dall’ordine clericale un nunzio abusatore – i processi hanno una funzione essenziale, perché rendono giustizia alle vittime e garantiscono agli occhi dei fedeli che la vittima con il suo trauma non viene respinta ai margini e al silenzio. Resta ancora oggi come segno negativo il fatto che papa Ratzinger, con il pretesto dell’età avanzata, non abbia voluto processare Marcial Maciel (fondatore dei Legionari di Cristo) che aveva persino abusato di uno dei suoi figli, nati da relazioni clandestine. Per lo stesso motivo, l’inerzia con cui per anni il Vaticano ha seguito la vicenda Rupnik rischiava di rivolgersi contro l’immagine del pontificato. La prossima mossa spetta adesso al Dicastero per la Dottrina della fede.
C’è tuttavia un altro filone che potrebbe riservare sorprese. Nel 2007 Rupnik ha fondato una società, denominata “RossoOroBlu”, che nella ragione sociale indica l’attività di creazione di mosaici e affreschi, restauri e risanamenti connessi, corsi di formazione. Il 90 per cento del capitale, ha spiegato a febbraio in conferenza stampa l’avvocata Sgrò, apparteneva a Rupnik e il 10 per cento ad una signora. Dopo l’espulsione del gesuita-artista dall’ordine lo schema è cambiato: 90 per cento del capitale alla signora, 10 per cento a Rupnik. Paura di futuri risarcimenti? La domanda rimane sospesa. Ma come diceva Andreotti, lavorare con i pensieri non è mai male.