La pandemia ha accelerato il declino cognitivo negli over 50. E questo è accaduto indipendentemente dall’aver contratto o meno l’infezione da Sars-Cov-2. È il risultato di una ricerca pubblicata su The Lancet Healthy Longevity, secondo cui il declino cognitivo si è accelerato in modo significativo nel primo anno della pandemia, con una variazione del 50%, soprattutto tra coloro nei quali un lieve declino era comparso prima della pandemia. Lo studio, chiamato Protect, è stato condotto dall’Università britannica di Exeter e ha evidenziato che l’accelerazione del declino è proseguita anche nel secondo anno della pandemia, suggerendo un impatto al di là del periodo iniziale di 12 mesi in cui c’è stato il lockdown. “I nostri risultati suggeriscono che i lockdown e le altre restrizioni che abbiamo vissuto durante la pandemia hanno avuto un impatto duraturo sulla salute del cervello delle persone di 50 anni o più, anche dopo la fine degli interventi di distanziamento sociale”, afferma la responsabile dello studio, Anne Corbett.
I ricercatori ritengono che il declino cognitivo sembra essere stato esacerbato da diversi fattori durante la pandemia, tra cui un aumento della solitudine e della depressione, una diminuzione della pratica di esercizio fisico e un aumento del consumo di alcol. Non a caso diverse ricerche hanno evidenziato che l’attività fisica, il trattamento della depressione, il ritorno nella comunità e il ristabilire i legami con le persone sono modi importanti per ridurre il rischio di demenza e mantenere la salute del cervello. “I nostri risultati”, ha sottolineato Corbett, “mettono anche in evidenza la necessità che i responsabili delle politiche considerino gli impatti a lungo termine sulla salute delle restrizioni come i lockdown durante la pianificazione di una risposta a una futura eventuale pandemia”.
Che cos’è il declino cognitivo
Lo studio dell’università britannica di Exeter parla di “declino cognitivo” che si è rivelato in molte persone a seguito del lockdown. Ma cosa si intende esattamente con questa espressione? “Con il termine declino cognitivo si riferisce a una condizione che non si manifesta come una chiara demenza. Tuttavia, questa condizione rappresenta una parziale compromissione di alcune funzioni cerebrali quali la memoria, la capacità di svolgere in autonomia le normali attività della vita quotidiana e la capacità di mantenere corretti rapporti familiari e sociali. In altre parole il declino cognitivo compromette le capacità del paziente di interagire con il mondo esterno”, spiega al Fatto Quotidiano.it Paolo Calabresi, Professore Ordinario di Neurologia all’università Cattolica Sacro Cuore di Roma e Direttore dell’Unità Complessa di Neurologia del Policlinico Gemelli, Roma. “Il lockdown durante la precedente pandemia”, continua l’esperto, “è stato necessario e ha salvato tante vite umane. Purtroppo potrebbe però avere indotto una deprivazione forzata delle interazioni sociali e accentuato i tratti depressivi dei pazienti, soprattutto se anziani. Infine, la riduzione dell’attività fisica come le passeggiate all’aperto è stato un ulteriore elemento di facilitazione del declino cognitivo”.
Queste considerazioni sono un po’ un ammonimento a tutti nel considerare quanto influiscano i contatti sociali sulla nostra attività cerebrale…
“La vita sociale è un determinante fondamentale delle nostra attività cerebrali. Interagire con il mondo esterno, stabilendo e mantenendo contatti sociali, non è solo un fattore importante per il
nostro benessere psicologico, ma modifica i circuiti cerebrali stabilendo nuove connessioni tra le cellule nervose”.
Gli avversari del cervello
Quali sono i principali nemici di una buona attività cerebrale?
“Deprivazione di stimoli sociali e ambientali, scarsa attività fisica e mentale, cattiva alimentazione, sonno non ristoratore e infine uso eccessivo di alcol e droghe”.
Speriamo di no, ma se si dovesse affrontare di nuovo una pandemia, alla luce di queste considerazioni come dovremmo gestire l’esigenza di arginare i contagi con il preservare la salute mentale?
“Il lockdown durante la precedente pandemia è stato purtroppo necessario. Certamente non ci auguriamo questa evenienza, ma se dovesse succedere, sarebbe necessario non confinare le persone in casa, ma favorire gli incontri in spazi aperti e verdi. Per questo, tutelare l’ambiente significherà anche prevenire la diffusione delle malattie”.