Il senatore Gianni Berrino del gruppo “Fratellastri d’Italia” ha pensato bene di presentare emendamenti al già pessimo testo sulla diffamazione, sollecitando l’incremento delle multe e la reintroduzione del carcere per i cronisti “sgraditi”. Le multe serviranno soprattutto a spaventare giornaliste e giornalisti precari, spesso senza alcuna copertura legale e contrattuale, i più esposti alle minacce di chi non gradisce inchieste su mafie, malaffare, corruzione.
Il carcere è una autentica provocazione, dal momento che la Corte europea e le stesse istituzioni internazionali ne hanno già previsto la soppressione; solo l’Italia non ha ancora pienamente recepito la direttiva.
Ora ci diranno che si tratta di una iniziativa individuale, forse smentiranno l’ardito senatore; ma le cose non stanno così. Lui ha solo dato voce e testo allo “spirito dei tempi” e a una destra che, ogni giorno di più, manifesta il suo rancore verso quello che resta del giornalismo di inchiesta e dell’articolo 21 della Costituzione. Questi emendamenti arrivano infatti dopo l’assalto alla par condicio, il via libera ai comizi del governo anche nelle campagne elettorali, l’assalto alla Rai, i maneggi attorno all’agenzia Italia e all’agenzia Dire ancora in sciopero, l’approvazione delle norme che vietano la pubblicazione delle ordinanze, la sistematica violazione della tutela delle fonti, le querele bavaglio contro autori, disegnatori, giornalisti e persino contro storici come Luciano Canfora, Donatella Di Cesare, Davide Conti, Tomaso Montanari.
Gli emendamenti odierni sono la logica conseguenza di scelte già compiute e ribadite. Questa volta, addirittura, si presenta un testo palesemente contro le sentenze della Corte europea, quelle della Corte costituzionale e addirittura contro il Media freedom act appena approvato dal Parlamento europeo, non casualmente con l’astensione di Fratelli d’Italia e della Lega.
Si tratta di una sfida aperta alle autorità di controllo e di vigilanza che non potranno che disattivare le norme eventualmente approvate, ma forse vogliono alzare la posta, in modo tale da far passare, nella distrazione generale, le altre norme che sono già racchiuse nella proposta della maggioranza sulla diffamazione e che prevedono l’innalzamento delle pene e il tiro al bersaglio contro il diritto di cronaca.
Per questo bisogna reagire, ora e subito, in tutte le sedi. Sarà il caso di promuovere una manifestazione davanti alla sede della Commissione europea e della Corte europea per richiamare la loro attenzione su quanto sta accadendo, sollecitando una loro ispezione e reclamando la messa in stato di “osservazione” dell’Italia, com’è già accaduto per l’Ungheria, cosa che hanno già fatto la Federazione della stampa e l’Ordine dei giornalisti.
Magari le forze di opposizione, tra un litigio e l’altro, potrebbero rappresentare al Quirinale e alla Corte costituzionale l’indignazione per questi nuovi bavagli alla libertà di informazione, per di più alla viglia di una sciagurata riforma costituzionale che punta a rafforzare il capo o la capa di turno, dopo aver liquidato i poteri di controllo.
Noi di Articolo 21 saremo in piazza a Torino il giorno 13, il 15 ad Ancona e il 25 aprile in tutte le piazze, chiedendo che la Costituzione e il pensiero critico siano liberati da bavagli e manganelli.
Le situazioni e gli eventi non si ripetono mai uguali, ma la storia ci ricorda che, subito dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, tra le leggi “fascistissime” ci furono proprio quelle contro la libertà di stampa. “Quelli che Mussolini ha fatto anche cose buone” forse la pensano ancora così: sarà meglio reagire senza perdere altro tempo.