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Guerra in Ucraina, Kiev stretta tra l’offensiva di Putin e il ricatto di Trump per consegnargliela

La guerra di Putin contro l’Ucraina è regredita, come era prevedibile, a “l’altro conflitto” dopo sei mesi di inferno a Gaza, e in questo lasso di tempo si sono create le condizioni peggiori che si potessero ipotizzare per il presente e il futuro del paese aggredito dalla Russia.

La situazione sul campo potrebbe precipitare in modo irreversibile per Kiev, che non ha più munizioni per contrattaccare e tra breve nemmeno per difendersi, e deve operare la scelta drammatica tra mantenere uno scudo antiaereo a difesa delle città oppure concentrarsi sulla linea del fronte minacciato ogni giorno di più, dove dall’inizio dell’anno i russi hanno sganciato un numero di bombe aeree guidate pari a 16 volte quelle utilizzate in tutto il 2023.

Dopo il fraudolento “successo” elettorale di Putin all’insegna della trasparenza delle urne e dell’intimidazione degli elettori, benedetto entusiasticamente come un bagno di democrazia da Salvini, “l’operazione militare speciale” è diventata senza perifrasi guerra a tutti gli effetti e per di più “santa” come ha sottolineato il “chierichetto” dello zar, il patriarca Kyrill già suo collega nel Kgb. Così il Cremlino, subito dopo la nuova incoronazione popolare di Putin, si appresta all’arruolamento senza troppo clamore di altri 300mila soldati per il probabile fronte di Kharkhiv, già pesantemente colpita, che dovrebbe diventare una “regione cuscinetto”, operazione che contempla l’esodo-deportazione di centinaia di migliaia di civili.

E nell’immediato sta intensificando vertiginosamente i raid con l’uso sistematico di attacchi chimici illegali, vietati dalla Convenzione sulle armi chimiche, con incursioni ravvicinate sullo stesso obiettivo per colpire prima gli abitanti nelle loro case e a seguire i soccorritori, con le glide bomb – ovvero un ibrido tra bomba guidata e missile, dagli effetti dirompenti, che può essere lanciata non solo dall’aviazione ma anche da semplici lanciarazzi.

Da ultima è ritornata al centro dell’attenzione per l’attacco di tre piccoli droni la centrale nucleare di Zaporizhzhia con il consueto rimpallo di responsabilità, ma che dal marzo del 2022 è stata occupata dopo un furioso combattimento dalle truppe russe che tuttora la controllano e che hanno già dimostrato il loro modus operandi con l’esplosione, dall’interno, della diga di Kakhovka, sempre sotto la loro responsabilità, che provocò oltre a 45 vittime un danno ambientale incalcolabile. Impossibile accertare le responsabilità ma, nonostante gli esperti sottolineino come la copertura sia resistente anche all’impatto di un aereo e la radioattività sia molto diminuita per l’inerzia dei reattori dal febbraio 2022, l’allarme nucleare – ovvero il mezzo di intimidazione più formidabile di Mosca – è ritornato prepotentemente in primo piano.

In questo quadro, dopo l’appello a Washington per ottenere i 60 milioni di dollari bloccati da Trump – “Se il Congresso Usa non aiuta l’Ucraina, l’Ucraina perderà la guerra” -, Volodymyr Zelensky è ritornato a ribadire che “Putin capisce solo il potere, se non puoi difenderti distruggerà ancora di più. Il suo desiderio è conquistare tutta l’Ucraina”. Quanto alle “aperture” al negoziato ha aggiunto che “Rispetto a tutto quello che ha detto fino ad oggi, dopo ha agito diversamente. Non possiamo fidarci di lui“.

Nell’intervista a Bild ha anche respinto al mittente “il piano segreto” di Trump che coerentemente al suo consolidato e duraturo asse di reciproco supporto e copertura con Putin prevede, grazie al ricatto già in atto, di disarmare l’Ucraina per costringerla a “negoziare” in ginocchio rinunciando a tutti i territori occupati. Un piano, ed è quasi superfluo aggiungerlo, che come fanno notare molti esperti di politica internazionale favorirebbe solo Vladimir Putin, legittimando di fatto la violazione militare di confini internazionalmente riconosciuti.

Parole chiare, queste di Zelensky, colpevole di parlare e agire in modo conseguente e cioè antitetico alle mistificazioni propagandistiche del Cremlino, che non perde occasione di ribadire “la necessità di negoziare la pace” per accreditarsi presso tutti coloro che hanno interesse o convenienza ad assecondarlo come un soggetto più disponibile, realista e moderato.

Ma se l’intervento di Zelensky ancora una volta “allontana i negoziati”, di quali negoziati stiamo parlando? Al momento non esiste nessuna prospettiva di un tavolo negoziale, non esistono negoziatori, meno ancora che nel 2022 in Turchia, perché Erdogan si muove sempre più come una quinta colonna di Putin, e allineato ad Orban, all’interno della Nato. Quanto alla presunta volontà di mediazione della Cina, appare sempre più appannata dal rafforzamento dell’alleanza in chiave anti-occidentale con la Russia e dall’esaltazione crescente del potere putiniano, al di là dei reali obiettivi dell’espansionismo economico e geopolitico di Pechino.

E persino i raffronti con la crisi cubana risolta in extremis nel ’62 non hanno ragione d’essere, perché se Biden non può essere paragonato a Kennedy, ancor meno Putin può essere accostato a Chruščëv. Basti pensare alla reazione in perfetto stile criminale-mafioso di Putin all’avviso circostanziato di Washington sull’attentato al Crocus City Hall: l’allarme totalmente ignorato, gli esecutori materiali orrendamente e pubblicamente torturati, i mandanti tuttora ignoti e le accuse gratuite e rituali a Kiev e “agli americani che controllano il regime di Kiev”, nonostante la rivendicazione dell’Isis. E’ questo il profilo dei propugnatori “dell’accordo pacifico” ostinatamente avversato da Kiev che, è bene ricordarlo, è fondato su 4 pilastri:

1) completa annessione delle province occupate;
2) divieto dell’adesione alla Nato per l’Ucraina dimezzata;
3)
sostanziale disarmo della stessa;
4) piena “denazificazione”, ovvero diritto di interferire direttamente sul governo ucraino e liquidazione di Zelensky.