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L’Inferno di Rosa e Olindo, il libro inchiesta di Riccardo Bocca sulla strage di Erba non è un affare di tifo tra innocentisti e colpevolisti ma un saggio di analisi e etica del diritto

Che si tratti di Rosa e Olindo, o di qualche altro passato e futuro imputato, la certezza della colpa oltre ogni ragionevole dubbio dovrebbe essere l’obiettivo di ogni indagine

di Davide Turrini
L’Inferno di Rosa e Olindo, il libro inchiesta di Riccardo Bocca sulla strage di Erba non è un affare di tifo tra innocentisti e colpevolisti ma un saggio di analisi e etica del diritto

L’inferno di Rosa e Olindo, il libro inchiesta sulla strage di Erba scritto da Riccardo Bocca, non è un affare di tifo per una squadra (innocentisti) o per l’altra (colpevolisti). E questa, nel perenne bailamme attorno alla coppia Bazzi-Romano e alla famigerata villetta della morte, è già una notizia.

Uscito nelle librerie per l’editore Ponte alle Grazie, proprio nei giorni in cui si è aperta la prima udienza per l’istanza di revisione del processo, chiesta dagli avvocati della difesa di Rosa Bazzi e Olindo Romano condannati all’ergastolo per quattro omicidi commessi l’11 dicembre 2006, L’inferno di Rosa e Olindo si posiziona sullo scaffale dei saggi di analisi e di etica del diritto. Non tanto per soffiare sul fuoco della revisione (udienza aggiornata al 16 aprile, quando la difesa dei due condannati risponderà ala pubblica accusa ndr), quanto per ragionare attorno al meccanismo del giudicare la colpevolezza di un imputato qualunque oltre ogni ragionevole dubbio. Si sa, stampa scandalistica, rotocalchi televisivi, e i maligni direbbero anche molti pubblici ministeri, hanno una perniciosa e ostentata finalità: dare un colpevole o i colpevoli in pasto alla folla e anche con una certa fretta.

E più i designati si prestano ad interpretare una sorta di parte attesa, disegnata nei suoi tratti esteriori più dettagliati, pronta per essere riempita e colorata da indizi che paiono già prove, più sembrano già i colpevoli. Insomma, spiega l’autore, esistono due lenti diverse per leggere le stesse carte processuali, interrogatori, testimonianze, rapporti degli inquirenti. Questo “viaggio laico tra le religioni della colpa e dell’innocenza” è quindi una rilettura piana, oggettiva, mai denigrante su numerose prove considerate dai giudici incontrovertibili che hanno inchiodato i coniugi Romano in ben tre gradi di giudizio al carcere a vita. In molti sapranno che agli atti della possibile revisione ci sono “nuove prove” che la difesa di Rosa e Olindo non ha ancora presentato in aula anche se oramai anche i sassi conoscono: l’inattendibilità del testimone chiave, il superstite all’aggressione Mario Frigerio oggi deceduto; la celebre foto scattata con la luce accesa per rilevare la traccia ematica sull’auto di Olindo quando l’operazione tecnicamente prevede che per catturare la luminescenza debbano essere fatte al buio.

Ma soprattutto la nuova testimonianza del medico, dottor Scola, che eseguì l’autopsia sulle vittime all’epoca. Scola riferisce a Bocca che una delle vittime – Valeria Cherubini – “è stata inseguita sulle scale, tant’è che aveva tutte le ferite sulla schiena e sul sacro, tipiche di qualcuno che offre la parte posteriore a chi lo sta aggredendo”. Quindi gli assassini sarebbero andati a finirla salendo nel suo appartamento, provocandole un’altra ferita seria alla mandibola, tagliandole la lingua, scappando e lasciandola morire tra i fumi dell’incendio. Solo che nei tre gradi di giudizio Rosa e Olindo non risulta che abbiano mai inseguito la Cherubini fino in mansarda.

“Chi ha spedito all’ergastolo i miei clienti ha negato che gli assassini fossero entrati nella mansarda, ha negato che Valeria Cherubini sia stata massacrata nel suo appartamento, e ha negato pure che chi l’ha uccisa si trovasse ancora lì quando i soccorritori (vicini di casa, tra cui un pompiere ndr) e Frigerio hanno sentito le grida della donna dal pianerottolo di casa Marzouk, rendendo con la loro presenza impossibile per chiunque scendere dalle scale e uscire dal portoncino senza essere visto”, spiega all’autore l’avvocato Schembri, difensori di “Ollie e Ciccia”. “La riprova, secondo Schembri, che Rosa e Olindo non sono i mostri di Erba, e che i veri mostri sono coloro che dopo avere ucciso Raffaella, la madre Paola e Youssef, hanno ferito Frigerio e inseguito sua moglie nella mansarda, riducendola in fin di vita per poi ridiscendere in casa dei Marzouk, dove è stata appunto trovata traccia del sangue della signora Valeria, e scappare infine da un balconcino alto circa tre metri che dà sulla via esterna”. Chiaro, la bilancia in questo excursus probatorio, sembra pendere per la versione innocentista. Ma è proprio questo il punto di fondo, architrave del lavoro di Bocca: perché queste ipotesi dubbiose, non così incontrovertibili, spesso contraddittorie (“punti di domanda che hanno continuato a galleggiare nell’aria senza trovare pace”), non sono state analizzate in profondità escludendo ogni possibile dubbio?

Bocca elenca diverse svolte dell’indagine fin troppo pregiudiziali. L’estrazione di alcune conversazioni (“quelle che servono”) da ampie (e in parte scomparse) conversazioni registrate tra gli imputati e non di altre. Il continuo tourbillon di confessioni e ritrattazioni di Rosa e Olindo (che si usano solo in chiave di colpevolezza mentre quando ritrattano viene valutato che mentono) che deve comunque incanalarsi nel quadro accusatorio che si è costruito e che porterà agli ergastoli. Basta leggere l’affermazione di un pm durante un interrogatorio alla Bazzi che Bocca riporta: “Senta signora, delle cose che lei ha detto c’erano alcune cose vere ed alcune cose non vere (…) ricominci da capo”. “243 tra errori, imprecisioni o vuoti di memoria, con una media complessiva di 2,6 incertezze per ogni pagina di verbale, due incertezze al minuto di confessione e un “metta quello che vuole” rivolto verso la fine dell’interrogatorio al pm Astori sono i presupposti, è doveroso chiedersi, perché una confessione sia considerata esaustiva?”, chiosa l’autore del libro che mostra anche come siano state stralciate sistematicamente (e qui vengono in mente alcune similitudini con il caso Garlasco rintracciabili in Il Garbuglio di Garlasco di Gabriella Ambrosio – Rubbettino) altre piste di indagine e testimonianze di coinvolgimento di altri attori vicini alla famiglia Castagna.

Inevitabile quindi, sia che si tratti di Rosa e Olindo, o di qualche altro passato e futuro imputato, che la certezza della colpa oltre ogni ragionevole dubbio dovrebbe essere l’obiettivo di ogni indagine. Anche se “la percezione popolare” ha già virato da una parte e i giornali hanno già sbattuto il mostro in prima pagina.

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