Quello che è rimasto del settore auto del Piemonte arriva alla spicciolata dalle 8 del mattino in piazza Statuto, storico luogo delle lotte e dei tumulti in città a iniziare dal trasferimento della capitale da Torino e Firenze. Così, ora che Mirafiori non è più la capitale della fu Fiat, si riparte da qui. E arrivano in 12mila, secondo le stime dei sindacati che tutti insieme, per la prima volta in quindici anni, hanno invocato lo sciopero. Ci sono gli operai di Stellantis e quelli di Lear e Delgrosso, due delle aziende del comparto più in difficoltà. Si sono fatti centinaia di chilometri anche alcuni colleghi di Melfi e Pomigliano: “Perché se viene giù Mirafiori, viene giù tutto”. Al loro fianco ci sono la diocesi e gli studenti, alla vigilia si sono fatti sentire perfino gli industriali torinesi in un inedito ballo a due.
“Se vengono perché si sono pentiti, va bene”, dice il segretario della Cgil Piemonte Giorgio Airaudo. Il termometro della crisi è tutto qui, oltre che nei numeri. Nello storico stabilimento sono state assemblate appena 12mila auto nel primo trimestre del 2024, la metà dello scorso anno. Altri 1.500 lavoratori dovranno lasciare la fabbrica con l’accordo sulle uscite incentivate. Come se non bastasse, due giorni fa, l’ad Carlos Tavares è tornato a minacciare altri “feriti e vittime” se il governo lascerà entrare un concorrente cinese risolvendo l’anomalia di un Paese ancora attaccato al cordone ombelicale di una storica casa automobilistica che ha ormai altrove il suo cuore produttivo, ma è ancora abbastanza forte da far tremare un’intera filiera.
Che poi di feriti, a volerne cercare, ce ne sono già a migliaia. “Tutta Torino è andata in declino, vogliamo le auto non il becchino” recita un cartello che spunta dalla folla. Pietro Caliendo ha 48 anni e non ricorda più quando ha preso l’ultimo stipendio “pieno”: “Neanche il tempo di entrare nella carrozzeria di Mirafiori ed ero già in cassa integrazione. Traduciamolo in termini pratici: dovrei prendere 1.400 euro al mese, ma un terzo della busta paga non esiste. Questo vuol dire dover spiegare ai miei figli che ci sono cose che non si possono comprare e controllare che spengano sempre la luce nelle stanze. Significa sacrifici”. Quelli che senz’altro non saranno costretti a fare gli Elkann e Tavares, grazie alle maxi-cedole in arrivo per gli straordinari risultati finanziari del 2023. Bruciante la sintesi degli operai messa nera su bianco su un cartello: “Tavares-Agnelli ingrati gemelli”.
Nel mirino finiscono anche il presidente della Regione Alberto Cirio e il sindaco Stefano Lo Russo, sorridenti in un selfie con l’amministratore delegato di Stellantis nelle stesse ore in cui il manager portoghese tornava a intimare al governo di andarci piano con il braccio di ferro, finora sterile, ingaggiato dal ministro delle Imprese Adolfo Urso. Lo scatto è il tormentone della giornata e il governatore arriva perfino a negarne l’esistenza con Ilfattoquotidiano.it ma l’illusione ottica non funziona. Lo Russo ci mette la faccia non solo in foto e rivendica, di fronte agli operai che lo contestano, che “le istituzioni hanno l’obbligo di tenere aperto il dialogo”.
Il sindaco è tra i più cercati del corteo. Gli si avvicinano gli operai della Lear di Grugliasco e Delgrosso di Nichelino. I primi producevano sedili per le auto, a migliaia. Calate le commesse, è iniziato il dramma. “Turno unico nel febbraio 2019, quindi siamo passati a 12 giorni al mese, poi uno. Ho 57 anni, dove mi ricollocano? In una Rsa, ma per restarci”, racconta un’operaia. E gli ammortizzatori in deroga stanno per finire, aprendo la possibilità al baratro. Quello che conoscono bene i 108 della Delgrosso: “Siamo rimasti senza lavoro nonostante 6,2 milioni di euro di commesse. Tutto è in mano al curatore fallimentare e al momento siamo senza ammortizzatori. Zero lavoro, zero stipendio”, spiega Carlo Silvestro.
Le paure delle lavoratrici e i lavoratori delle aziende dell’indotto che nella cintura di Torino danno ancora lavoro a decine di migliaia di persone sono uguali per tutti: se si impoverisce Mirafiori, restano a digiuno anche loro. “Dove sono le ricchezze fatte in queste anni da Stellantis? Perché non le redistribuiscono? Qui sono arrivati solo migliaia di occupati sacrificati. Torino paga un conto esagerato e ingeneroso. Abbiamo deciso di dire basta tutti insieme. Non accetteremo di perdere altri posti di lavoro”, urla dal palco di piazza Castello il segretario generale della Uilm Rocco Palombella.
Per Michele De Palma, leader della Fiom, servono 200mila auto a Torino per raggiungere l’obiettivo di produrne un milione in Italia: “Numeri che avremmo voluto sentire da Tavares, contestualmente all’annuncio di assunzioni di giovani laureati e operai che servirebbero per produrle. Ora viene a dirci che con l’arrivo di altri produttori sono a rischio gli stabilimenti, ma nel frattempo cosa è successo? Sono fake news la messa in vendita del Lingotto, di Grugliasco, dell’edificio della Mopar? – si chiede dal palco – Noi ci saremmo tenuti Stellantis e la Maserati ma se chiudono uno stabilimento storico c’è o no un ruolo pubblico per impedire l’effetto domino su altri lavoratori? Se chiediamo questo siamo dogmatici o pragmatici?”.
Servirebbero nuove produzioni, ma intanto l’Alfa Romeo Milano verrà prodotta in Polonia. L’ultima di una lunga serie di addii che lo scorso anno aveva coinvolto altri due modelli, mentre a dicembre è stato annunciato che la Panda elettrica verrà sfornata in Serbia. “Il gruppo ha 14 marchi importanti, che assegni nuove produzioni. Innanzitutto dobbiamo aumentare i volumi di chi produce qui, poi possiamo valutare il piano industriale. È importante fare uno sciopero tutti insieme, una trattativa unitaria per cambiare la situazione”, affonda il segretario generale della Fim, Ferdinando Uliano, sottolineando come i metalmeccanici abbiano ritrovato un’unità, sfilando per le vie di Torino, che Cgil, Uil e Cisl hanno smarrito.
“Anche gli imprenditori – aggiunge – stanno toccando con mano l’impatto che sta avendo la scarsa produzione sull’indotto e, con l’appello di ieri, hanno condiviso una preoccupazione che è generale”. E ha radici lontane, rischiando di trascinare anche il settore auto in una situazione che altri comparti produttivi del Piemonte hanno già loro malgrado conosciuto. A ricordarlo ci sono alcuni lavoratori dell’Embraco. È stata una delle vertenze più dolorose degli ultimi anni e nessun governo è riuscito a risolverla. Di inganno in inganno, è finita malissimo. “Si inizia sempre così, con le minacce – urla uno degli ex lavoratori – Poi arriva la cassa integrazione, quindi la Naspi. E alla fine resti senza lavoro come noi. Alzate la voce, subito”. È quello che le lavoratrici e i lavoratori stanno provando a fare. Torino, il Piemonte e l’intero settore dell’auto si augurano che basti.
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Tutte le foto in questa pagina sono dell’agenzia Ansa