Pfizer, la casa farmaceutica statunitense sommersa di profitti dopo essere stata la prima a commercializzare un vaccino contro il Covid (sviluppato con la tedesca BioNtech e grazie a ingenti sussidi pubblici), è riuscita a non pagare neppure un dollaro di tasse nel 2023. Eppure, nonostante il rallentamento della domanda di vaccini, che ha causato una forte contrazione dei ricavi (da 100 a 58 miliardi di dollari), l’anno si è chiuso con un utile di 2,1 miliardi di dollari e, nel corso dell’anno, sono stati distribuiti dividendi agli azionisti per oltre 9 miliardi. Pfizer rimane insomma una delle aziende farmaceutiche più redditizie al mondo. Il quartier generale è a New York ma ha filiali in tutto il mondo, molte in giurisdizioni segrete o fiscalmente molto accomodanti come Irlanda, Svizzera, Paesi Bassi, Isole Vergini britanniche, Singapore e Porto Rico. Non è un caso che, tempo fa, un’analista finanziario abbia definito la società “una strategia finanziaria in forma di azienda”. E con le norme compiacenti varate da Donald Trump nel 2017, schivare le pretese del fisco americano, è diventato quasi un gioco da ragazzi per chi può contare su una struttura societaria così ramificata.

Il gioco è sempre il solito (molto in voga anche tra i colossi di internet): le licenze dei brevetti dei farmaci appartengono alle filiali domiciliate nei paradisi fiscali, dove le tasse non esistono o quasi. Le altre filiali “le comprano” per poter vendere farmaci, trasferendo così i profitti che realizzano con le vendite di medicinali sui grandi mercati. Così facendo, Pfizer riesce quasi regolarmente a chiudere bilanci in rosso negli Usa e a fare profitti all’estero. Sedici delle oltre 300 filiali di Pfizer hanno sede in Irlanda, paradiso fiscale prediletto pure da Apple, Microsoft e da altre grandi aziende che qui possono contare su un’aliquota effettiva pari al 7%. Nessuna delle filiali irlandesi di Pfizer pubblica però i dati finanziari, i loro risultati vengono consolidate in CP Pharmaceuticals International CV, che è l’entità centrale per le attività non statunitensi del gruppo e che ha sede in Olanda.

Fatto sta che grazie a questi schemi, Pfizer è riuscita a “importare” negli Stati Uniti una perdita fittizia di 4,4 miliardi di dollari, annichilendo qualsiasi pretesa fiscale, visto che le tasse si applicano solo ai guadagni. Come ricorda il sito Jacobin, citando uno studio dell’Institute on Taxation, dal 2018 al 2022, i tagli fiscali di Trump hanno consentito a 342 delle più grandi aziende americane di pagare solo 562 miliardi di dollari di tasse su quasi 4mila miliardi di dollari di profitti, un’aliquota effettiva del 14%. Le aziende farmaceutiche sono tra le più coinvolti negli schemi di elusione fiscale. Nel 2022, ad esempio, a fronte di ricavi per 214 miliardi sono riuscite a dichiarare negli Usa profitti per appena 10 miliardi, visto che gli utili sono stati spostati altrove.

Nella sua dichiarazione, Pfizer attribuisce la sua bassa aliquota fiscale, -105,4%, ad agevolazioni fiscali per la ricerca e sviluppo, detrazioni fiscali statali e locali, donazioni di beneficenza e altri motivi. “La riduzione della nostra aliquota fiscale effettiva è il risultato della localizzazione degli utili ed è in gran parte dovuta ad aliquote fiscali più basse in alcune giurisdizioni, nonché alla produzione e ad altri incentivi per le nostre filiali a Singapore e, in misura minore, a Puerto Rico”, ha scritto la società che nel 2023 ha proceduto anche alla revisione al rialzo di molti dei farmaci che produce. Pfizer non è certp l’unico colosso che riesce a non pagare imposte. Un centinaio di grandi gruppi tra il 2018 e il 2022 ha usufruito di aliquote medie al di sotto del 3,7%.

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