C’è stata un’epoca in cui per molti club di prima fascia sarebbe stato un lusso mandare in campo contemporaneamente due talenti come Seedorf e Aubameyang. Figurarsi per una società che annaspava nelle acque inquiete della Lega Pro. Eppure, tra il 2009 e il 2011, di Seedorf il Monza ne ha schierati addirittura due. In quegli anni il centrocampo biancorosso è la terra di Chedric, mediano transitato per i settori giovanili di Ajax, Real Madrid e Inter. Ma soprattutto di Stefano, trequartista che dopo un timido esordio con gli aiacidi si è perso fra i greci del GAS Veroia e gli olandesi del Den Bosch. I due condividono con Clarence non il talento affilato, ma un grado di parentela. Chedric è suo fratello minore. Stefano suo cugino. Davanti a loro al Monza gioca Willy Aubameyang, fratello di Pierre-Emerick, futuro dominatore delle aree avversarie che intanto il Milan aveva spedito in prestito a Digione, Lilla e Monaco.
L’incipit della storia da mal di testa viene scritto nel giugno del 2009. Allora il Gruppo Begnini decide di vendere il Monza. Le trattative sono estenuanti, ma alla fine viene trovata la quadra che soddisfa tutti. La vecchia proprietà firma un compromesso di cessione con On International, la società di advisory di Seedorf (Clarence), che ha riunito un consorzio di investitori brianzoli e internazionali in una newco denominata PaSport. È l’inizio di un’era tutta nuova. L’asso del Milan farà parte del Comitato Consultivo Tecnico insieme a Beppe Bergomi, per cui viene indicato anche un futuro da allenatore degli Allievi. Il calciomercato è interessante. Perché oltre ai due Stefano e Chedric arriva anche Sander Westerweld, portiere che nel 2001 aveva vinto la Coppa Uefa con il Liverpool. “Tutti mi chiedono che ci faccio qui – dice alla Gazzetta – in effetti quest’estate avevo tante offerte. Però mi sono chiesto cosa volessi ancora dalla carriera: ho giocato in grandi club e in nazionale. E mentre me lo chiedevo, mi ha telefonato il mio amico Clarence. È lui la ragione principale per cui sono qui. All’ inizio ero scettico, pensavo a qualche piazza importante, ma mi ha richiamato, ne abbiamo parlato, due settimane di prova, ed eccomi. Qui mi diverto”.
Ma non solo. Le prospettive sono elettrizzanti. “Abbiamo talento e potenziale – dice il portiere – prendi questa squadra come sarà a novembre e mettila nella Serie A olandese: non retrocederà”. La società è sicura di aver allestito una rosa competitiva. Tanto che i playoff vengono considerati l’obiettivo minimo da raggiungere. L’inizio del campionato, tuttavia, diventa una specie di incubo. Il Monza perde in casa contro il Como e poi ad Arezzo. Alla terza giornata passa in vantaggio con Samb e poi si fa recuperare dal Benevento. Al minuto numero 93. Serve una scossa. Così la società decide di portare tutti nei boschi di Magreglio, vicino a Bellagio, per due giorni di Team Building. “Abbiamo indossato l’imbracatura e abbiamo affrontato un percorso sospeso nel vuoto, che si sviluppa tra tronchi, passerelle di legno, ponti nepalesi e liane che collegano un albero all’ altro – spiega mister Roberto Cevoli – A 18 metri d’altezza la fiducia reciproca necessaria anche sul terreno di gioco diventa l’unica strada possibile per raggiungere il traguardo”.
Sembra una scena uscita da Noi uomini duri di Maurizio Ponzi, invece a consigliare la pratica è stato Clarence il persona. La prima vittoria arriva alla quinta giornata: 1-0 contro il Varieggio. Gol di Vincenzo Iacopino. Il resto della stagione non va poi molto meglio. Il 10 gennaio il Monza perde in casa contro l’Arezzo di Galderisi. Per 1-6. In città monta la contestazione. Tanto che Clarence è costretto a calmare i tifosi. A fine anno i brianzoli sono decimi. Con tanti saluti ai sogni di promozione. Nella stagione successiva arrivano anche Willy Aubameyang e Damjan Djokovic (nessuna parentela, però, con Novak). E le cose vanno addirittura peggio. Il Monza dei cognomi pesanti perde più o meno contro chiunque: Hellas Verona (due volte, la prima per 1-5), Reggiana, Gubbio (4-0), Salernitana, Lumezzane, Sudtirol, Spezia, Ravenna, Bassano, Pavia, Cremonese. Stefano Seedorf deve fare i conti con una situazione assurda. Perché viene colpito dagli ululati e dai cori razzisti di qualche membro della sua stessa tifoseria. “Purtroppo il razzismo non è un fenomeno solo da stadio: è lo stadio ad essere specchio di ciò che si vede per strada – dice il centrocampista – Discriminazioni si registrano in tutto il mondo e in ogni ambiente, anche a scuola, al supermercato, sull’ autobus”.
E ancora: “Non so perché i tifosi se la prendano con me, ma i cori razzisti fanno male anche agli altri miei compagni di colore e a tutta la squadra. Chi si definisce tifoso deve pensare solo a sostenere la squadra. Clarence, io e tutti coloro che giocano e lavorano per il Monza vogliamo salvarci. Se i tifosi si comportano in questo modo significa che non hanno il nostro stesso obiettivo”. Il Monza chiude sedicesimo. Per non retrocedere deve affrontare il playout contro la Pergolettese. All’andata il Monza vince 1-0 grazie a un gol di Alberti. Al ritorno i gialloblù si impongono con lo stesso risultato. Il regolamento parla chiaro. A salvarsi è la Pergolettese che in campionato ha raccolto tre punti in più dei biancorossi. Il Monza è retrocesso. Ed è il peggior finale possibile per il club dai cognomi ingombranti.