Dopo le proteste e l’allarme internazionale di Reporter senza frontiere, Fratelli d’Italia fa un passo indietro e ritira l’emendamento che aumentava il carcere per i giornalisti condannati per diffamazione (fino a 4 anni e mezzo). Ad annunciarlo è stato il promotore Gianni Berrino, senatore Fdi, che solo fino a pochi giorni fa rivendicava l’iniziativa. La proposta aveva sollevato grossi malumori anche dentro la stessa maggioranza con Fi e Lega che si erano espresse contro.

Oggi Berrino ritorna sui suoi passi: “La necessità di procedere con celerità all’approvazione, mi ha convinto a ritirare gli emendamenti che in ogni caso, alleggerivano sensibilmente le pene attualmente previste”, ha sostenuto. Il parlamentare ricorda che il partito di Giorgia Meloni “ha presentato un ddl per eliminare la pena detentiva per il reato di diffamazione per garantire maggiormente la libertà di stampa. Una svolta da tempo attesa ma che nessuno prima di FdI aveva tradotto in provvedimenti. In linea con la sentenza della Consulta“, “avevo presentato due emendamenti per garantire la piena tutela delle persone offese da meccanismi di macchina del fango”. Ora ritirati. Nei giorni scorsi, oltre alle opposizioni, l’Ordine dei giornalisti e il sindacato Fnsi, erano intervenute anche le associazioni europee dei giornalisti, parlando di un “passo indietro per l’Italia”. E le preoccupazioni non sono finite: “Erano emendamenti ingiusti e incivili che avrebbero portato l’Italia ai confini dell’Ungheria”, ha commentato oggi la segretaria generale Fnsi Alessandra Costante. “Di questo, fortunatamente, si è accorto un pezzo della maggioranza, alla quale ora ci rivolgiamo nella speranza che, assieme alle altre forze politiche democratiche, si metta al lavoro per rendere più europeo il disegno di legge sulla diffamazione, che per l’informazione ha comunque molte criticità”.

Una situazione che resta allarmante secondo la segretaria Pd Elly Schlein: “Come lo chiameremmo un governo che cerca di restringere gli spazi di informazione libera, che rende la Rai tele Meloni, che cerca di allargare la sua influenza con operazioni come quella allo studio tra Eni e Angelucci, che attacca la magistratura?”, ha detto alla stampa estera. “Sono cose che abbiamo già visto in Europa e voi ne siete testimoni. È una deriva che non siamo disposti a tollerare“. Per i dem rimane un provvedimento che non tutela la libertà di stampa. “Resta un provvedimento orrendo, una vendetta che penalizza e punisce il lavoro dell’informazione e sul quale dobbiamo fare una opposizione durissima, senza sconti”, ha scritto su X il senatore Filippo Sensi. “Tolta la foglia di fico resta la vergogna”. “Fratelli d’Italia ci ha provato, ma il tentativo di prevedere il carcere per il giornalisti è fortunatamente fallito”, hanno esultato le esponenti M5s Ada Lopreiato e Dolores Bevilacqua. “Possono dire quello che vogliono, possono provare a giustificare il ritiro di quei vergognosi emendamenti con le esigenze di procedere spediti sul ddl diffamazione, ma la verità è che il partito di Giorgia Meloni si è ritrovato isolato alla testa dell’ennesima battaglia assurda contro la libertà e l’indipendenza della stampa. Resta comunque inquietante anche solo il tentativo che è stato messo in campo. Teniamo la guardia alta affinché nuovi rischi del genere non abbiano alcun tipo di spazio”.

Anche senza le pene detentive però, il disegno di legge presenta numerosi aspetti che vengono contestati, tra cui, ad esempio, la nomina del responsabile per i titoli degli articoli”. Dei 5 progetti di legge in materia presentati a Palazzo Madama (anche da Pd e M5S) il relatore ha preso come testo base quello che ha come primo firmatario il presidente della Commissione Affari Costituzionali, Alberto Balboni. La proposta di Berrino, non solo prevedeva di mantenere il carcere già previsto nell’articolo 595 del codice penale, che quasi tutti i ddl puntavano ad eliminare, ma la detenzione aumentava fino a 4 anni e mezzo. In più, si prevedeva l’interdizione dalla professione da 2 mesi a 2 anni. Berrino ha proposto anche l’introduzione di una nuova norma contro le ‘fake news’: l’articolo 595-bis del codice penale. Con questo nuovo articolo “chiunque, con condotte reiterate e coordinate, preordinate ad arrecare un grave pregiudizio all’altrui reputazione” attribuisce pubblicamente “fatti che sa essere anche in parte falsi”, è punito con la reclusione da 6 mesi a 1 anno e con la multa da 15.000 a 50.000 euro”. E se il fatto attribuito costituisce un reato “la pena aumenta da un terzo alla metà”. Se poi l’offesa è diretta a “un Corpo politico, amministrativo o giudiziario”, le “pene aumentano”. In più, Berrino, considerato “molto vicino ad Andrea Delmastro” il sottosegretario alla Giustizia avvistato nel pomeriggio a Palazzo Chigi, ampliava, tra l’altro, la platea dei responsabili prevedendo non più solo “l’autore dell’offesa’, ma anche “l’ autore della pubblicazione”. Tutto questo rigore, si osservava anche in parte della maggioranza, va in controtendenza rispetto alla Corte Costituzionale che nel 2021 dichiarò illegittimo l’articolo 13 della legge sulla stampa proprio perché prevedeva il carcere, in contrasto con la giurisprudenza della CEDU che nel caso di Alessandro Sallusti condannò l’Italia perché al giornalista si comminò una pena detentiva (poi commutata dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano).

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