La corsa al rialzo del petrolio, il costo delle importazioni via mare, l’andamento dei tassi di interesse. Dopo l’attacco iraniano contro Israele sono queste le variabili “osservate speciali” a via XX Settembre per l’impatto che potrebbero avere sull’andamento dell’economia italiana in corso d’anno e nel 2025. Incrociandosi con la stesura del nuovo Piano fiscale strutturale in cui, a settembre, verranno svelati i contorni della prossima legge di Bilancio e gli aggiustamenti di finanza pubblica concordati con la Ue. Già nel Documento di economia e finanza approvato il 9 aprile, prima del lancio di droni e missili in direzione delle città ebraiche, il governo aveva calcolato i rischi legati alle tensioni in Medio Oriente. Ora, a seconda dell’evoluzione del quadro geopolitico, gli scenari peggiori diventano più probabili. E il conseguente rialzo dell’inflazione potrebbe allontanare il taglio dei tassi, con ripercussioni sulle famiglie e sui conti dello Stato.

Il Def stima innanzitutto il contraccolpo dell’aumento del costo dei noli marittimi causato dagli attacchi degli Houthi alle navi che transitano nel Mar Rosso. Alcuni
armatori, ricorda il documento, hanno dovuto modificare le rotte e dirottare i cargo verso il Mediterraneo circumnavigando l’Africa, con relativo aumento di 8-12 giorni dei tempi di navigazione. Il che comporta da un lato ritardi nelle consegne, dall’altro maggiori costi. E pure potenziali “insufficienze nell’offerta di container”, visto che quelli disponibili non si liberano quando previsto. Nel caso i problemi persistano fino alla fine dell’anno, il ministero dell’Economia prevede una riduzione dello 0,3% dei consumi delle famiglie rispetto all’ipotesi “base” e una crescita del pil dello 0,8%, più bassa dello 0,2% rispetto all’1% atteso. Una revisione al ribasso che si tradurrebbe ovviamente in un aumento del rapporto deficit/pil – che costringerebbe il governo a ulteriori salti mortali per rifinanziare il taglio del cuneo e le altre misure in scadenza a fine anno – e del debito/pil già gonfiato dai crediti edilizi.

Un ulteriore “scenario di rischio” esaminato in un focus ad hoc prende in considerazione “un andamento dei prezzi delle materie prime energetiche (in particolare petrolio e gas naturale) meno favorevole rispetto a quanto ipotizzato nello scenario di riferimento, con nuovi e improvvisi aumenti del prezzo del petrolio e del gas” causati da sviluppi negativi delle tensioni in Medio Oriente. Il Def, ipotizzando un aumento del barile di 10 dollari rispetto agli 80,9 dello scenario base, mostra che il pil aumenterebbe quest’anno e nel 2025 solo dello 0,9%: si tratta di 0,1 e 0,3 punti in meno dei livelli tendenziali. Va detto che al momento le quotazioni del Brent, che erano già salite ai massimi da settembre 2023 (oltre i 90 dollari al barile) sulle voci di un imminente attacco iraniano, hanno ripiegato in scia all’aspettativa che Tel Aviv non intenda scatenare una guerra regionale. Ma ora gli occhi sono puntati sullo Stretto di Hormuz, l’imboccatura del Golfo persico, da dove passa un quinto del petrolio venduto a livello globale. E dove sabato Teheran ha sequestrato una nave cargo. Se si arrivasse a un blocco di quel passaggio, gli analisti prevedono un’impennata del barile a 120-130 dollari al barile. L’impatto sul pil italiano sarebbe pesante.

Infine, l’attacco iraniano secondo diversi osservatori renderà la Federal reserve ancora più cauta rispetto al taglio dei tassi, dopo che l’inflazione superiore al previsto registrata a marzo aveva già reso improbabile un allentamento della stretta monetaria prima di luglio. La Bce potrebbe agire comunque, ma un taglio unilaterale indebolirebbe l’euro rispetto al dollaro. A quel punto, visto che l’Europa compra materie prime pagandole in dollari, il risultato sarebbe “importare inflazione” rendendo inefficace il calo dei tassi. Un rompicapo che complica ulteriormente le scelte dell’Eurotower. E la cui soluzione è cruciale per le famiglie e le imprese che devono chiedere un prestito ma anche per i conti italiani: gli interessi passivi sul debito al momento sottraggono oltre 80 miliardi l’anno di risorse altrimenti destinabili alla spesa sociale.

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