Può sembrare una storia minima di fronte alla devastazione che l’esercito israeliano ha fatto negli ultimi sei mesi contro i civili palestinesi della Striscia di Gaza. Ma, per quanto riguardi una sola persone, questa storia è l’emblema della crudeltà delle autorità israeliane.
La settimana scorsa Walid Daqqah, 62 anni, il palestinese da più tempo nelle carceri israeliane, è morto di cancro. Le autorità israeliane sono rimaste sorde di fronte ai tanti appelli affinché, dopo che nel 2022 gli era stato diagnosticato un tumore al midollo osseo, il prigioniero potesse essere rimesso in libertà per ragioni umanitarie e trascorrere gli ultimi giorni della sua vita in famiglia.
Arrestato il 25 marzo 1986, quando aveva 24 anni, Walid Daqqah venne processato un anno dopo e condannato all’ergastolo per aver comandato – un’accusa da lui sempre negata – un gruppo armato affiliato al Fronte popolare per la liberazione della Palestina che, nel 1984, aveva rapito e ucciso il soldato israeliano Moshe Tamam. Tanto per essere chiari, un crimine di guerra. La condanna venne emessa sulla base di una legge di emergenza del 1945, risalente al mandato britannico.
Nel 2012 la pena venne commutata in 37 anni di carcere. Decorrendo dall’anno dell’arresto, sarebbe pertanto scaduta nel marzo 2023. Sarebbe, appunto. Perché, già diagnosticato malato terminale, Walid Daqqah era stato nel frattempo condannato ad altri due anni per aver fatto entrare telefoni cellulari nella prigione. Fine pena, dunque, marzo 2025. Walid Daqqah non c’è arrivato.
Non solo, ma dal 7 ottobre la sua vita e quella dei suoi familiari sono diventate un inferno. Negli ultimi sei mesi di vita, Walid Daqqah non ha potuto fare neanche una telefonata alla moglie, Sanaa Salameh, alla quale ovviamente è stato negato anche l’ultimo abbraccio al marito. Walid Daqqah non ha potuto vedere per l’ultima volta neanche la piccola Milad, nata quattro anni prima grazie al seme fatto uscire dal carcere.
Durante quasi quattro decenni trascorsi in prigionia, Walid Daqqah è stato un mentore e un educatore per generazioni di prigionieri palestinesi. Ha scritto saggi, un testo teatrale e letteratura per ragazzi. Una sua frase: “L’amore è la mia modesta e unica vittoria contro il mio carceriere”.