Nove anni dopo, l’inchiesta sulla “Dama Nera” è giunta al capolinea con dodici condanne in primo grado a Roma. Risale al 2015 la retata che colpì imprenditori e funzionari dell’Anas accusati di una lunga serie di reati ed episodi di corruzione. La “signora degli appalti” era Antonella Accroglianò, potente ex condirettore generale dell’azienda pubblica arrestata nell’ottobre di quell’anno, che aveva poi deciso di collaborare con gli inquirenti. I suoi verbali hanno portato nel 2016 ad altre incriminazioni eccellenti. In questo lasso di tempo sono state numerose le posizioni che si sono definite con patteggiamenti e riti abbreviati. Ad esempio, la stessa Accroglianò ha concordato nel 2018 una pena a 4 anni e 4 mesi, restituendo quasi mezzo milione di euro. Lo stesso hanno fatto tre ex dirigenti Anas, mentre l’ex sottosegretario alle infrastrutture Giuseppe Meduri (governo Prodi) era stato assolto in abbreviato. La sentenza è stata emessa dall’Ottava Sezione penale del Tribunale, presieduta da Roberta Bardelle.
DODICI CONDANNE – La pena maggiore (7 anni) è stata inflitta a Sergio Serafino La Grotteria di Catanzaro, che faceva parte della co-direzione generale tecnica dell’Anas, occupandosi di viabilità e sicurezza. Era coinvolto in due capi d’accusa. La dirigente Anas Elisabetta Parise, di Roma, è stata condannata a 4 anni per corruzione. Tre anni sono stati inflitti a Giuseppe Silvagni di Vibo Valentia, un privato che aveva ricevuto un’indennità di esproprio promettendo soldi a pubblici ufficiali. Il padovano Sergio Vittadello di Padova, interessato ad ottenere la rapida definizione di una procedura di accordo bonario per lavori affidati da Anas alla Intercantieri Vittadello, è stato condannato a 6 anni.
IMPRENDITORI SICILIANI – Gli imprenditori Concetto Albino Lo Giudice e Francesco Domenico Costanzo di Catania sono stati condannati a 6 anni di reclusione per promessa e consegna di denaro a pubblici ufficiali, in relazione ai lavori di adeguamento strutturale e messa in sicurezza dell’Itinerario Basentano, compreso il raccordo autostradale Sicignano-Potenza. L’imprenditore Giuseppe Ricciardello di Brolo (Messina) è stato condannato a quattro anni per aver consegnato o promesso denaro alla “Dama nera” ed altri funzionari per lavori con la Regione Sicilia. Sei anni di reclusione costituiscono la pena inflitta all’imprenditore Vito Rossi di Bari e al suo braccio destro Giuseppe Colafelice di Altamura, per denaro versato a uomini dell’Anas riguardante la disapplicazione di penali e l’assegnazione di lavori. Carmelo Misseri di Floridia (Siracusa) è stato condannato a 4 anni, per pagamenti alla Accroglianò e ad un altro dirigente, in merito a lavori della Società Italiana Costruzioni Stradali. Sono stati inflitti 4 anni a Vittorio Pescatore di Rossano (Cosenza) che faceva da intermediario in procedure di esproprio e che era accusato di aver pagato somme di denaro per ottenere una rapida e agevole definizione delle pratiche espropriative.
IL FRATELLO DELLA “DAMA” – Roberto Accroglianò di Roma è il fratello di Antonella, la dirigente Anas al centro dello scandalo. Per lui non c’era l’accusa di corruzione, ma di riciclaggio, per aver ostacolato l’accertamento della provenienza di cospicue somme di denaro “di provenienza delittuosa e riconducibili ai pagamenti di provviste corruttive in favore della sorella”. Si trattò, dal 2004 al 2015, di 413 operazioni bancarie, per un importo di 543mila euro, mentre dal 2006 al 2015 aveva emesso 34 assegni bancari e circolari per 657mila euro a favore della “dama nera”. Questa super-attività gli è costata una condanna a 4 anni e sei mesi.
IMPUTATI DECEDUTI – I giudici hanno dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di due imputati, che sono nel frattempo deceduti. Il primo è l’ex deputato Marco Martinelli, tre legislature dal 2006 al 2018 per Alleanza Nazionale e Popolo delle Libertà. Il secondo è l’avvocato toscano Alberto Brandani, consigliere Anas dal 2001 al 2006, poi responsabile dell’organismo di sorveglianza interno fino al 2015.
NIENTE CORRUZIONE – L’imprenditore friulano Giuliano Vidoni, che nel 2015 finì ai domiciliari per alcuni mesi, ha visto modificata l’accusa di corruzione in quella meno grave di indebita erogazione di somme, con conseguente prescrizione. Aveva pagato o promesso somme di denaro per ottenere i corrispettivi contrattuali che gli spettavano. “Il mio assistito – spiega l’avvocato Luca Ponti di Udine – è stato riconosciuto vittima di una concussione ambientale, visto che la sua azienda vantava crediti dall’Anas per una quarantina di milioni di euro. Aveva 400 dipendenti e aveva dichiarato di essersi trovato costretto a pagare i funzionari romani per vedere onorati, almeno in parte, i suoi crediti per una serie di lavori già eseguiti”. Dopo l’arresto la situazione era precipitata, la domanda di concordato preventivo non era stata accolta e l’impresa era fallita. “L’Anas avrebbe dovuto pagare il pregresso e non risolvere i contratti, così l’azienda si sarebbe salvata”, conclude l’avvocato.