“È stata affermata la penale responsabilità dell’imputata Silvana Saguto per avere stretto un accordo trilaterale”. A sei mesi dalla sentenza della Cassazione sono state depositate le motivazioni che hanno spinto i giudici a chiedere un nuovo appello. Nel processo di secondo grado l’ex presidente della Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, radiata dall’ordine giudiziario, era stata condannata a 8 anni e 10 mesi per corruzione, concussione e peculato, con un lieve aumento rispetto agli 8 anni e mezzo del primo grado, quando era già caduta l’accusa di associazione a delinquere. Gli ermellini hanno fatto cadere alcune accuse e l’appello bis servirà solo per la rideterminazione della pena. Quel verdetto ha infatti dichiarato irrevocabile la sentenza di Appello in alcuni punti, riqualificato altri capi di imputazione, dichiarato prescritte altre accuse e pronunciato assoluzione per alcune imputazioni contestate agli imputati. Dopo la sentenza della Cassazione pronunciata lo scorso ottobre, la pena per l’ex magistrata dovrà essere rideterminata al ribasso. In seguito alla sentenza della Cassazione Saguto era stata arrestata e, dimessa dalla clinica in cui era ricoverata, trasferita in carcere.
L’indagine e il processo – Il processo nasce da una indagine sulla cattiva gestione, da parte della sezione del tribunale diretta da Saguto, dei beni confiscati e sequestrati alla mafia. Secondo l’accusa, in cambio di regali e favori, per sé e familiari, la magistrata ha assegnato ai soli professionisti del suo cerchio magico amministrazioni giudiziarie milionarie di beni sottratti ai clan. A processo c’erano altre 11 persone: il marito della giudice Lorenzo Caramma, che in secondo grado è stato condannato a 6 anni. Tra gli amministratori giudiziari favoriti dalla magistrata c’è l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, condannato in Appello 7 anni e 7 mesi, Roberto Santangelo, che ebbe a 4 anni e 2 mesi. A pene minori di 3 anni, quindi sospese, furono condannati gli altri imputati: il figlio di Silvana Saguto, Emanuele Caramma (3 mesi), l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo (3 anni), il professore della Kore di Enna ed ex amministratore giudiziario Carmelo Provenzano (3 anni), l’amministratore giudiziario Walter Virga (un anno e 4 mesi); Rosolino Nasca, colonnello della Finanza (2 anni e 8 mesi), il preside della facoltà di Giurisprudenza della Kore Roberto Di Maria (un anno e 10 mesi), e la moglie e la cognata di Provenzano Maria Ingrao e Calogera Manta (2 anni e 8 mesi).
Le motivazioni – Per i supremi giudici questo “rapporto ‘trilaterale’ non basta, di per sé, a qualificare i fatti in termini di ‘corruzione propria’ ma, alla luce del cospicuo compendio probatorio riportato dalla sentenza impugnata, nella parte in cui sintetizza le articolate argomentazioni a sostegno della sentenza di primo grado, rileva l’evidente ‘presa in carico’ da parte del pubblico ufficiale degli interessi di Cappellano Seminara e ciò nell’ottica di un illecito sinallagma finalizzato a consentire al marito di continuare a lucrare degli incarichi che, a sua volta, questi gli faceva ottenere”.
“Deve quindi ritenersi – si legge nelle motivazioni di 108 pagine depositate oggi- che entrambi i rapporti corruttivi, la cui esistenza è motivata in modo non illogico dalla sentenza impugnata, si collocano nell’ambito di un pactum sceleris di natura generica e avente sin all’inizio ad oggetto: per la Saguto, un ‘risultato’ (il coinvolgimento del marito quale coadiutore in diverse procedere amministrate da Cappellano Seminara e le conseguenti ricadute economiche per il bilancio familiare; il conseguimento della laurea del figlio Emanuele, garantito da Provenzano) a fronte della abdicazione da parte sua della corretta valutazione delle modalità concrete di esercizio del potere discrezionale relativo alla scelta di amministratori giudiziari e coadiutori; per i privati corruttori (rispettivamente, Cappellano Seminara, Provenzano e Santangelo), il conferimento, a prescindere da un’effettiva valutazione, da parte della presidente Saguto di numerosi e lucrosi incarichi nelle amministrazioni di prevenzione da lei gestite, e la ‘tutela’ dei loro interessi in sede di nomine di coadiutori e di liquidazione dei compensi”.