Sostenere l’ingresso di gruppi anti-abortisti nei consultori pubblici per minare il diritto all’interruzione di gravidanza. La strategia della destra, temuta e minacciata durante la campagna elettorale, si è concretizzata all’improvviso nell’Aula di Montecitorio due giorni fa e mentre si discuteva di tutt’altro. L’emendamento al decreto Pnrr, blindato con la fiducia, è la prova di quello che ha sempre detto e rivendicato Giorgia Meloni: non c’è bisogno di toccare la legge 194, basta intervenire su tutta la rete di supporto che agisce nel momento in cui una donna decide di abortire. E incentivare, come già previsto, la presenza di chi è contrario a quel diritto.
Se finora la premier aveva cercato di non accelerare, anche per evitare passi falsi a livello internazionale, ora ad andare avanti sono i suoi. E la mossa non è passata inosservata oltre confine: “Consentire pressioni organizzate contro le donne che vogliono interrompere una gravidanza”, ha scritto su X la ministra spagnola socialista per l’Uguaglianza Ana Redondo, “significa minare un diritto riconosciuto dalla legge. È la strategia dell’estrema destra: minacciare per togliere diritti, per frenare la parità tra donne e uomini”. Alle critiche ha ribattuto, poco dopo, la stessa presidente del Consiglio: “Varie volte ho ascoltato ministri stranieri che parlano di questioni interne italiane senza conoscerne i fatti. Normalmente quando si è ignoranti su un tema si deve avere almeno la buona creanza di non dare lezioni“. La stessa linea usata dalla ministra per le Pari opportunità Eugenia Roccella: “Suggerisco ai rappresentanti di altri Paesi di basare le proprie opinioni sulla lettura dei testi e non sulla propaganda della sinistra italiana”, ha detto. Proprio in Spagna e già due anni fa, è passato il divieto di “ostacolare, offendere o intimidire” chi decide di abortire e di farlo davanti agli ospedali pubblici. Un chiaro segnale per i gruppi anti-abortisti che, invece, in Italia ora vengono invitati ad ampliare le proprie attività.
Cosa comporta di nuovo la mossa della maggioranza? Per ora poco e niente, ma lancia un messaggio molto preciso: ribadire quanto già previsto dalla legge 194 è un modo per ricordare alle Regioni di lavorare sull’incentivo alla maternità e non per ridurre i dati allarmanti che riguardano, ad esempio, l’obiezione di coscienza. A prevedere infatti il coinvolgimento di “idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”, è la stessa legge all’articolo 2. “Era dunque davvero necessario presentare un ‘nuovo’ emendamento per far applicare una legge in vigore da 46 anni?”, ha detto in una nota Filomena Gallo, avvocata e segretaria dell’Associazione Luca Coscioni insieme alla vice (e ginecologa) Mirella Parachini. “Se questo fosse stato il vero scopo, allora sarebbero davvero tanti, forse troppi, gli emendamenti necessari per rendere effettive tutte le parti ad oggi disapplicate della legge 194. In primis, di garantire l’erogazione delle prestazioni senza interruzione di servizio e con la disponibilità della RU 486 in tutte le strutture”. E continuano: “Sarebbe stato piuttosto utile presentare degli emendamenti all’interno del Pnrr per favorire l’esistenza dei consultori che invece nel nostro Paese sono sotto finanziati e stanno scomparendo”.
Oggi si è espressa anche la Federazione nazionale delle ostetriche. “L’interruzione volontaria di gravidanza è un diritto garantito dalla legge”, ha detto la presidente Silvia Vaccari. “Per tutelarlo appieno è necessario applicare la legge 194 in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale. La Legge 194 è una legge che tutela la salute della donna. La legalizzazione dell’aborto, un accesso maggiore alla contraccezione e ai consultori familiari, infatti, hanno permesso alle donne italiane, da un lato di prevenire le gravidanze indesiderate, dall’altro di tutelare la propria salute psicofisica. La legge 194 ha avuto un duplice effetto positivo: non solo gli aborti sono usciti dalla clandestinità, ma sono anche diminuiti, passando dai 234mila del 1983 (anno record) ai 66.400 nel 2020″. E, ha ricordato Vaccari, la situazione più allarmante riguarda l’obiezione di coscienza: “Oltre 6 ginecologi su 10, il 40% degli anestesisti e un terzo del personale sanitario sono obiettori di coscienza. In altre parole, oltre la metà del personale, medico e non, formato per mettere in pratica un’interruzione volontaria di gravidanza si rifiuta di farlo, appellandosi ad un diritto riconosciuto dal proprio codice deontologico professionale”. E questo emerge dai dati della Sorveglianza del 2021, l’ultima pubblicata: ha effettuato Ivg poco più della metà (il 59,6%) delle strutture sanitare con Unità operative di ostetricia e/o ginecologia, ovvero 335 su 560, con una forte variabilità interregionale.
Intanto a Montecitorio, anche oggi è continuato lo scontro tra maggioranza e opposizione. Se il provvedimento ha già ricevuto la fiducia, la discussione si è spostata sugli ordini del giorno. E in particolare quello proposto dal M5s sui consultori. Il testo prevedeva di tenere fuori da queste strutture coloro che, “ideologicamente orientati”, “tentano di negare le tutele sottese ai servizi che i consultori sono tenuti a garantire per avviare la procedura relativa all’interruzione di gravidanza”. La proposta di riformulazione del governo, rispedita al mittente, parlava invece della necessità, nei consultori, di “un equilibrio tra operatori sanitari obiettori di coscienza e non obiettori” e toglieva il riferimento all’aborto. Ancora una volta, un altro segnale della direzione in cui intende andare l’esecutivo. Da notare che l’ordine del giorno è stato bocciato, ma due deputati Fi (Paolo Emilio Russo e Deborah Bergamini) si sono astenuti. A prova che le battaglie di Meloni e Fdi contro i diritti delle donne non creano malumori sono tra le opposizioni. E che, non solo la sinistra, è preoccupata.
* Foto della ministra spagnola CC Ayuntamiento de Valladolid