“Abbiamo continuato a chiedere frequentemente un incontro con il ministro dell’Interno egiziano Ghaffar, ma questo veniva sempre rimandato. Intorno al 30 gennaio 2016 il capo gabinetto disse che sarei stato incontrato presto. Ma dall’incontro non emerse alcuna informazione utile, non potevamo essere soddisfatti”. A raccontarlo l’ex ambasciatore italiano al Cairo, Maurizio Massari, nel corso della sua testimonianza durante l’udienza del processo sul sequestro, le torture e l’uccisione di Giulio Regeni, davanti alla Prima Corte d’Assise. Processo che vede imputati quattro agenti della National Security Agency. Ovvero, il generale Sabir Tariq e i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, sotto accusa per il reato di sequestro di persona pluriaggravato e (nei confronti di quest’ultimo) di concorso in lesioni personali aggravate e il concorso in omicidio aggravato.

“Fu un incontro molto lungo e atteso da tanti giorni”, ricostruisce Massari, “ma durante il quale non avemmo alcuna notizia sulle sorti del nostro connazionale. Ricordo di aver chiesto più volte lo scenario delle indagini, ma la risposta sostanziale era che non avessero informazioni ed era molto difficile avere elementi completi. Sapevano che il connazionale aveva suoi contatti egiziani e trovavo le risposte evasive. Non sapevamo che fine avesse fatto Giulio Regeni, noi volevamo informazioni sul nostro connazionale e non c’erano state date. Il giorno dopo era prevista la visita del ministro Guidi e avevamo grande imbarazzo. Io chiesi due volte “Noi vogliamo Giulio Regeni indietro”, lo ripetei in inglese per ribadire la ferma richiesta del governo”. E ancora: “Il ministro non aveva detto che Giulio era stato attenzionato nei mesi precedenti dalla National Security”.

“Le tragiche notizie su Giulio Regeni arrivarono la sera del 3 febbraio 2016. Durante un ricevimento mi si avvicinò il vice ministro degli Esteri egiziano, che mi disse era stato ritrovato un corpo alla periferia del Cairo e che avrebbe potuto essere quello del nostro connazionale. Io chiesi immediatamente una conferma ufficiale, ma non arrivò. Quella sera nessuno fu in grado di confermarlo ”.

L’ambasciatore nel suo racconto quindi ricorda: “Indicai alla ministra Federica Guidi l’impossibilità di continuare la visita in una situazione di tale gravità. Tutte le scuse dei 7-8 giorni precedenti, la reticenza a dare informazioni, la maniera goffa in cui ci fu data la notizia così come l’insistenza nel non voler dare il riconoscimento ufficiale lasciava presumere che i nostri presentimenti fossero corretti. Abbiamo visto un atteggiamento non trasparente dell’Egitto”.

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