Era l’aprile del 2016 quando il lavoro di circa 400 giornalisti di 107 testate pubblicarono i primi articoli sullo scandalo finanziario che fece il giro del mondo. Erano gli articoli sui Panama Papers, l’inchiesta giornalistica basata sul fascicolo digitalizzato composto da 11,5 milioni di documenti confidenziali e creato dallo studio Mossack Fonseca che mostrò come capi di Stato e di governo, leader politici, personaggi della finanza, dello sport e dello spettacolo nascondevano proprietà, aziende, beni e profitti per evadere le tasse o riciclare denaro. I nomi vennero pubblicati dal Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi e per l’Italia la testata ponte fu L’Espresso. Emersero nomi di primissimo livello in tutto il mondo, persino l’allora premier inglese David Cameron.
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Quello scandalo divenne un processo e ora la Procura contro la criminalità organizzata di Panama ha chiesto la pena “massima” di 12 anni di carcere prevista dalla legge locale per il reato di riciclaggio di denaro contro Jürgen Mossack e Ramón Fonseca, fondatori dell’estinto studio legale finito al centro dello scandalo internazionale. Mossack e Fonseca sono stati accusati di “nascondere, occultare e fornire false informazioni a entità bancarie per aprire conti e nascondere la proprietà di beni”, ha affermato il pm Isis Soto durante il dibattimento del processo, in corso fino al 26 aprile. L’accusa ha inoltre chiesto la condanna di altri 24 imputati, in maggioranza ex dipendenti dello studio, e l’assoluzione di altri tre.