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VinNatur Tasting 2024, il paradiso del vino naturale. Vi raccontiamo il nostro divino tour tra gusti mai sentiti e etichette pop

“Quello che cerchiamo di fare è un vino il più pulito possibile, con un’uva più sana possibile"

Veni, vini, vici. Chi è stato, come noi, al VinNatur Tasting 2024, ci è andato per conquistare e farsi conquistare. Da chi? Ma dai vini naturali, naturalmente. Vederli tutti lì, in fila, con le loro etichette pop, vere e proprie opere d’arte in scala enologica, codici miniaturizzati di un’emozione gustativa che esplode visivamente fuori sulla bottiglia, ecco fa venire i lucciconi. Quasi 200 i vignaioli allineati e fieri tra decine di filari di lastre di marmo dello Showroom Margraf di Gambellara, in provincia di Vicenza, pronti a versare una lacrima di vino e attendere il luccicone del bevitore. “I vini naturali devono colpire le emozioni. Altro che minerale, fruttato, grasso, come siamo abituati a sentire, ecc… una persona arriva qui quando si è stancata dei vini banana, pesca, ananas e cerca di essere colpito in qualcosa che ha intrinsecamente dentro di sé. Un qualcosa che è diverso da persona a persona”, spiega a FQMagazine il gran mogul del naturale italiano, quell’Angiolino Maule presidente di VinNatur dal 2003, che dal 1990 ha eretto la cattedrale del naturale nel deserto dell’industria (chimica) del vino.

“Quando partimmo con VinNatur lo facemmo con l’obiettivo di investire i soldi degli incassi per costruire un percorso di ricerca e analisi a livello scientifico a supporto della nostra idea di vino naturale. Sono sempre stato affascinato da cosa c’è sottoterra e dall’ecosistema al suolo”, continua il vate con un aplomb all’inglese. “Pensate al rapporto tra preda e predatore in natura, un rapporto uno a uno che tiene in equilibrio la terra. Solo che con tutti i terreni coltivati negli ultimi decenni l’equilibrio si è rotto. Conoscere quello che accade in natura è doveroso. Provate a disegnare un metro quadro: quante più erbe ci sono, tanta più biodiversità cresce. Quando vado da un vignaiolo che si definisce naturale e passeggiando in vigna vedo solo due tre tipi di erbe spontanee gli dico: mi prendi in giro?”. E tra i tavoli di VinNatur trovare un vignaiolo naturale che ti prende per i fondelli è come trovare una coccinella in un appezzamento di grappoli d’uva coltivati per la grande distribuzione. Alberto Lot, ad esempio, “dalle 8 alle 13 insegnante di lettere alle medie e dalle 13 alle 20 sul trattore”, sembra il mago del naturale. Non c’è trucco, non c’è inganno, solo poesia. Dal “vitigno più sfigato d’Italia, il prosecco” (la battuta molto corrosiva ma bella è del presidente Maule ndr) vicino Sacile in Friuli, prima vendemmia 2019, sette-ottomila bottiglie l’anno, Alberto e Giulia ti donano qualche goccia di metodo classico fulminandoti nella memoria delle emozioni in un istante. Lucciconi veri, insomma. “Amiamo puntare sulla forza dell’anonimato”, racconta Giulia, la moglie di Alberto. “Anche sé i nostri vini sono 90% glera e 10% bronner, o 100% glera (la glera è l’uva con cui si fa il Prosecco e del Prosecco prima è diventata sinonimo e poi è stata come sostituita/soppiantata ndr), con tutto il rispetto dei prosecchisti, e ce ne sono di bravissimi sia chiaro, noi il nostro vino lo chiamiamo vino frizzante bianco”.

Perché poi i “naturalisti” hanno dalla loro una certa cocciutaggine anticonformista e piuttosto ribelle. “Inizi solo se hai passione. Quella che non ti fa calcolare matematicamente un risultato ma ti porta in una direzione da risultato insperato” – continua Giulia. “Eravamo devoti frequentatori di VinNatur e intanto coltivavamo il nostro sogno. Alberto ha sperimentato per molto tempo micro vinificazioni fino a quando è arrivato il nostro vino: è quello che se piace a te lo puoi dare agli altri e se non ti piace non glielo dai”. È quello che deve aver pensato anche Emilio Olivieri di Cascina Borgatta, vigne in territorio di guerra, le omologate Langhe. Emilio di primavere ne segna ottanta e ha iniziato ad occuparsi delle vigne di famiglia solo quando è andato in pensione. “Negli anni quaranta e cinquanta quando ero ragazzo non c’erano versamenti all’Inps per chi lavorava in vigna. Andai così a lavorare in un’industria tessile e ogni giorno passavo davanti alle vigne della mia famiglia e dicevo: prima o poi verrò da voi”, spiega Olivieri. I suoi vini lasciano, e non c’era nemmeno bisogno di dubitare, sbalorditi. Il suo Dolcetto (anche se a noi andiamo più pazzi per la Barbera) è la sorpresa del gusto e del naso per il naturale: via tutti gli orpelli chimici da cantina della modernità e ritorno all’antico. “Il mio vino lo definisco genuino. Ha lo stesso sapore di quello che bevevo di nascosto, perché non me lo facevano bere, nel primo dopoguerra quando ero ragazzo. Il rapporto con la mia vigna è morboso, la gioia è vedere quelle piante crescere giorno dopo giorno”. Passione mai sopita, quella dei vignaioli naturali verso la loro vigna. Spesso con un rifiuto vero e proprio rifiuto delle professioni più convenzionali, magari fisse e garantite. Gianluca Cabrini, proprietario di Tenuta Belvedere nell’Oltrepò pavese vendeva auto.

Carlo Tanganelli, dell’omonima azienda agricola di Castiglion Fiorentino, era destinato all’impiego in banca. Ma niente. La vigna chiama. “La luce l’ho vista nel 2019, dopo 5 anni da quando nel 2014 avevo recuperato le vigne della famiglia di mia moglie”, racconta Cabrini davanti ad una schiera di bottiglie da combattimento. Croatina su tutte, due rifermentati da urlo e soprattutto quelle etichette con animaletti che danzano, coppie improbabili tra vecchi e giovani, tizi sparati a cavalcioni su un razzo, che rapiscono lo sguardo. “È una cosa brutta da dire, ma queste qui (indica le etichette ndr) hanno svoltato le vendite. Da quando un amico disegnatore ha creato questa linea tutto è cambiato”, sottolinea il Cabrini. Carlo Tanganelli, sosia autentico di Paul Newman e di una ironica affabilità che staresti ad ascoltarlo per giorni, quasi si nasconde dietro alle sue bottiglie di Trebbiano, Merlot e Sangiovese. I classici dei classici, insomma, che però qui, senza chimica in vigna o cantina, tornano al palato e all’olfatto con una inedita verticalità che spazza via tante fittizie certezze proprio in quelle zone dal rosso mummificato, standardizzato e reso caro come l’oro.

Anche il vino di Tanganelli, come se ne avesse bisogno, acquisisce un’ulteriore peculiarità con etichette di animali stilizzati che sembrano quelli che nella realtà Carlo tiene orgoglioso in memoria in mille fotto sullo smartphone e che frequentano i suoi vigneti con disarmante naturalezza. “Facemmo sentire il profumo della bottiglia di vino a mia figlia Costanza mentre era in bicicletta nell’aia. Il primo, il trebbiano, disse che puzzava come un anatraso, che è lo stagno dove si lavano le anatre. Disegnò lei la testa dell’anatra che è sull’etichetta. Noi per non demoralizzarla gliene facemmo annusare un’altra e lei disse: puzza un po’ meno. Così nacque l’anatrino”, ricorda sorridente Tanganelli, sfidando il tabù del luogo comune sul vino naturale che non propone aromi (spesso artificiali) molto profumati. “Sull’etichetta del vino Hera c’è il pavone, animale un po’ ruffiano tanto che è l’etichetta del Merlot, un vino un po’ zoccola perché fa matrimoni con tutti. Poi c’è il Mammi, toponimo della collina da 600 metri dove le upupe arrivano tutti gli anni. L’upupa è una signorina discretissima, abitudinaria, che arriva dall’Africa. Il fatto che siano sempre lì significa che l’areale è pulito”.

Infine, se volete capire cosa significa la rivoluzione del naturale, fate come abbiamo fatto noi prima di uscire da VinNatur. Assaggiate – anche solo con l’immaginazione mentre leggete – l’Arancia Atomica di Colleformica a Velletri vicino Roma. 20% trebbiano giallo, 80% Malvasia, quello che in tanti oggi chiamerebbero “orange”. Un arabesque di Debussy che fluttua dentro una bottiglia con un’etichetta che vede una formichina con un casco arancione in testa: “Siamo in un momento spartiacque sul naturale. C’è chi si approccia senza remore e chi non lo fa per una inutilmente testarda presa di posizione, come capita per la cucina vegana che viene spesso presa in giro senza motivo”, racconta Paolo Bombetti, titolare di Colleformica. “Quello che cerchiamo di fare è un vino il più pulito possibile, con un’uva più sana possibile. Questo voglio per chi beve vino convenzionale: farlo passare, come si dice a Roma, dall’altra parte del Tevere”.