di Federica Pistono*

Fra opere letterarie scritte in lingua araba e pubblicate in italiano nel 2023, un posto di rilievo spetta al testo di Kahlil Gibran La musica (a cura di F. Medici, M. El Hajj e N. Najem, prefazione di P. Branca, Messina, Mesogea, 2023), un breve trattato, edito per la prima volta a New York nel 1905, sull’arte della musica, esordio letterario del celeberrimo poeta e pittore libanese Kahlil Gibran (1883-1931). L’opera, proposta anche nell’originale arabo, si presenta, più che come una dissertazione scientifica, come saggio poetico che indaga sulla natura della musica, sulle sue fonti divine, sulla sua storia e sul suo ruolo nelle civiltà del passato, nelle antiche culture caldea, egiziana, persiana, greca, romana, ebraica, assira e indiana.

Emergono già, in questa prima prova letteraria, le tematiche che caratterizzeranno la scrittura dell’autore negli anni successivi: la conoscenza e il confronto delle tradizioni occidentali e orientali, la capacità di cogliere e apprezzare corrispondenze spirituali, l’attitudine a viaggiare fra mondi che iniziano, proprio nel primo scorcio del Novecento, a comporre un variopinto mosaico di scambi, incontri conflitti. Gibran accosta motivi storici e lirici, nel tentativo di indagare le differenze che separano le tradizioni musicali orientali da quelle occidentali.

La musica è il linguaggio dello spirito. La sua segreta corrente vibra tra il cuore di colui che canta e l’anima di colui che ascolta. Questo celebre aforisma dell’autore contiene la concezione gibraniana della musica, considerata come una corrispondenza misteriosa e ineffabile tra chi produce il suono e che lo ascolta.

Nelle prime pagine del testo, infatti, l’autore raffigura la musica come un’incarnazione eterea di tutto ciò che un cuore nostalgico può desiderare di essere, ma anche come un corpo, il cui spirito è generato dall’anima, e prospetta un accostamento tra l’arte della musica e la voce della donna amata. Il riferimento al rapporto tra ascolto e immaginazione, con il primato attribuito al dato fantastico su quello sensoriale, richiama subito l’eredità del romanticismo inglese e i versi della celebre Ode on a Grecian Urn di John Keats. Se, per Keats, le melodie inascoltate sono più dolci di quelle realmente ascoltate, la musica, come il suono della voce della persona amata, parla al cuore dell’uomo prima ancora della parola, dal momento che rappresenta il codice segreto della natura.

Gibran focalizza l’attenzione poi sul fenomeno della sonorità, enucleando una concezione ‘intransitiva’ dell’esperienza sonora. Suono e canto sgorgano dall’animo umano prima ancora che dagli strumenti musicali. Lo strumento è semplicemente il tramite di una melodia interiore che scaturisce dallo spirito dell’uomo, in cui l’io è soggetto attivo della creazione sonora. La presenza originaria del suono pervade la nostra vita, nel suo fluire segnato da momenti di gioia e dolore, precedendo nell’esperienza la parola stessa.

Nella seconda parte dell’opera, l’autore descrive le emozioni suscitate dall’ascolto di quattro strutture della musica orientale, dette maqāmāt. Il maqām è un complesso sistema utilizzato nella musica tradizionale persiana, araba, turca e andalusa, sviluppatosi dunque nella immensa area geografica che corrisponde al mondo islamico. Gibran si concentra su quattro costruzioni musicali tradizionali molto comuni nella prassi degli esecutori, dipingendone l’impatto emotivo e la risonanza interiore nel cuore dell’ascoltatore, che sperimenta un ampio spettro di sensazioni e stati d’animo. La natura evocativa della sonorità permette all’autore di sfiorare temi e immagini destinati ad essere ripresi e sviluppati nelle sue opere figurative e letterarie successive, ma che già sono presenti in nuce in quest’opera giovanile.

L’autore conclude la trattazione con l’invito a onorare tutti gli amanti della musica che, nella tradizione orientale e occidentale, hanno saputo ascoltare il richiamo dell’invisibile e scorgere, in ciò che i suoni riflettono nello specchio dell’immaginazione, un’ispirazione capace di riconnettere l’umanità alle proprie origini, proiettandola verso la ricerca di una spiritualità condivisa.

Il testo, dunque, si configura come un’ode in prosa in cui è già possibile intravedere lo stile e la potenza evocativa del capolavoro gibraniano, Il profeta.

*Dottore di Ricerca in Letteratura araba, traduttrice, arabista, docente, si occupa di narrativa araba contemporanea e di traduzione in italiano di letteratura araba

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