Lo scandalo dei “chierichetti del papa”, ricostruito nel libro “Vizio Capitale. Sesso, potere e omertà in Vaticano”, scritto da Giuseppe Pietrobelli ed edito da Paper First, offre uno sconcertante spaccato delle connivenze che hanno coperto una vicenda torbida tra adolescenti avvenuta nel Preseminario “San Pio X” fatto ora chiudere da Bergoglio. È lo scandalo di chi sapeva e non ha fatto nulla per anni. Il chierichetto L. si confidò nel 2009 con il rettore don Renato Radice e nel 2013 con il vescovo di Como, Diego Coletti, spiegandogli di subire continue violenze. Fu minacciato di espulsione e non accadde nulla. Nel 2014 un testimone oculare, il polacco K, scrisse a vescovi e cardinali, perfino al Papa. L’inchiesta canonica fu insabbiata fino al 2017 quando il caso venne svelato dalla trasmissione “Le Iene”. Solo allora fu messo in moto il meccanismo che ha portato dopo sette anni, nel gennaio 2024 alla condanna in appello (due anni e 6 mesi di reclusione) per corruzione di minorenne a carico di don Gabriele Martinelli, assolto però con il dubbio dall’accusa di violenza sessuale. “Vizio Capitale” ha ricostruito con nomi e cognomi – in un capitolo cruciale, che qui pubblichiamo – la lunga catena dei porporati che in Vaticano sapevano e hanno taciuto.
“Non so nemmanco come ci si muoveva in Vaticano in queste cose… Adesso ci sono norme ben precise per questa materia date da Papa Francesco, ma dieci anni fa non c’erano”. Monsignor Vittorio Lanzani, vescovo di Labico, è stato congedato pochi giorni prima dalla Veneranda Fabbrica di San Pietro, di cui è stato delegato per vent’anni, quando il 26 marzo 2021 depone davanti al Tribunale Vaticano. Il promotore di giustizia Roberto Zannotti gli domanda: “Perché nel 2013, quando venne da lei prima K., poi L., non suggerì ai ragazzi di recarsi presso la Gendarmeria?”. Lanzani è colto di sorpresa: “…perché non mi è proprio passato per la mente… e perché essendo una materia molto delicata… essendo un ordine di cose interne di un seminario, il primo doveva essere il cardinale, questo avevo giudicato. Le giuro che non mi è venuta in mente la Gendarmeria”.
Quasi a volersi giustificare, scarica su chi gli stava sopra, ma ammette l’opacità di un potere discrezionale. Soltanto le riforme volute da Bergoglio nel 2019 hanno introdotto l’obbligo di denuncia a fronte di segnalazioni di abusi sessuali e tracciato un preciso percorso istruttorio. Di fronte alla notizia di un supposto reato grave, chiunque penserebbe di rivolgersi all’autorità di polizia, ma in Vaticano non è accaduto. Anzi, la “memoria” del vescovo di Como, Diego Coletti, nel gennaio 2014, è servita per mettere una “pietra tombale” sulla vicenda. Non è accaduto più nulla dalla primavera del 2013 fino al 15 dicembre 2017, quando il nuovo vescovo della diocesi lariana, Oscar Cantoni, darà formalmente il via a una nuova Investigatio Praevia.
Il fatto è che in Vaticano quasi tutti sapevano. Non si può dire che la questione fosse rimasta chiusa all’interno di una cerchia circoscritta. Tutte le strutture di governo ne erano state informate, in modo diverso e a seconda delle competenze. I segreti del Preseminario non erano più tali, ma si sarebbe dovuto verificare l’attendibilità dei racconti dei testimoni, affidandone il compito a chi avesse avuto la capacità e l’indipendenza per un accertamento senza preclusioni.
(…) Chi era a conoscenza dei fatti del Preseminario? In tempi e modi diversi almeno sette cardinali e tre vescovi, oltre a papa Francesco, anche se non è chiaro il momento in cui il Pontefice ne venne informato, visto che non c’è la prova che gli siano state recapitate tutte le lettere a lui indirizzate o inviate ai cardinali. Sicuramente le decisioni che ha adottato dal 2017 in poi dimostrano una piena consapevolezza della questione. Ma c’è anche uno stuolo di una quindicina tra sacerdoti e monsignori, oltre a comprimari. Siamo di fronte a una lunga catena comunicativa, con tanti gironi concentrici.
Immaginiamo le parole sussurrate, le confessioni all’orecchio, le stanze curiali dove ci si muove con passo felpato, il trionfo dell’allusione e del silenzio. Immaginiamo sacerdoti e vescovi che invitano alla prudenza, mentre il dubbio viene represso, salvo che nei confronti delle vittime, mentre dilagano pettegolezzi e sospetti. Immaginiamo i monsignori che vengono a sapere, apparentemente si indignano, e riferiscono all’autorità superiore. In alto, sempre più in alto.
Il primo cerchio è quello del Preseminario, con i chierichetti del papa, che comprende il rettore Enrico Radice e il seminarista Gabriele Martinelli (gli accusati nel processo), oltre ad almeno altri tre sacerdoti. Ci sono anche il padre spirituale don Marco Granoli (poi deceduto) e l’economo don Ambrogio Marinoni e un insegnante di religione autore di una prima lettera anonima. Tutti conoscono almeno una parte del segreto.
Si entra nel secondo livello quando don Granoli riceve le confidenze di L. e del ragazzo polacco K, nel 2013. K. dice di essersi consultato con don Carlos Encina Commentz, dal 2006 Officiale del Tribunale della Penitenzieria Apostolica, e con il domenicano padre Vincenzo Nuara, collaboratore della Pontifica Commissione “Ecclesia Dei”. Don Granoli, seppur rispettando il segreto confessionale, si rivolge con una lettera al consiglio direttivo dell’Opera don Folci (da cui dipendeva il Preseminario nda), a Como, composta dal superiore don Angelo Magistrelli, dal vicesuperiore don Gian Piero Franzi e dal segretario don Giampaolo Cozzi. Allarmato, chiede di fermare la strada verso il sacerdozio di Martinelli.
Intanto don Granoli manda K. dal vescovo Lanzani. Il colloquio avviene tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013. Il vescovo riceve poi personalmente don Granoli e padre Pierre Paul, che dirige il coro della Cappella Giulia, il quale ha ascoltato il racconto tormentato di L. Anche l’ex ministrante si rivolge alla fine a Lanzani, che ha, quindi, addirittura quattro fonti diverse, due ragazzi e due sacerdoti. “Sono rimasto allibito e non ho fatto altro che suggerire a K. di andare a riferire tutto al cardinale Comastri” dirà sette anni dopo. Lo stesso ha fatto con L.
Il caso del Preseminario conosce così un altro balzo verso l’alto – il terzo cerchio – perchè il cardinale è il vicario generale del Papa per la Città del Vaticano. Comastri è potente, gli basta alzare il telefono e può parlare con chiunque all’interno delle Mura Leonine. Siamo nel 2013. Convoca il rettore don Radice, “ingiungendogli di prestare molta attenzione nella gestione del Preseminario”, spiega Lanzani. “Il cardinale ha avvisato sia il Sostituto della Segreteria di Stato, sia il Superiore generale dell’Opera e il vescovo di Como, monsignor Coletti”. Ma come fa il vescovo ad essere certo che anche il livello superiore al cardinale Comastri sia stato informato? “So della comunicazione diretta alla Segreteria di Stato perché ero presente alla sua scrivania, lui alzò il telefono e chiamò il Sostituto, dicendo ‘succede questo e questo’. Mi ricordo bene che il cardinale ebbe ordini superiori”.
Ormai siamo arrivati due gradini sotto papa Francesco. Il sostituto della Segreteria di Stato è il cardinale Giovanni Angelo Becciu, che dirige la Prima Sezione, competente sugli Affari Generali, una specie di ministero degli interni della Santa Sede. Becciu rimane in quel posto fino alle dimissioni date nel 2018 a causa dello scandalo del palazzo acquistato a Londra. Visto che Becciu era subalterno al Segretario di Stato è evidente che il cardinale Pietro Parolin – che dal 2013 sta un livello sotto il pontefice – sia stato informato della vicenda delicatissima. Monsignor Lanzani conferma: “Il sostituto della Segreteria di Stato chiese espressamente che il ragazzo sospettato venisse allontanato dal Preseminario e che il rettore don Radice venisse sostituito”.
Fin dalla genesi, ovvero i mesi di giugno-luglio del 2013, lo scandalo dei “chierichetti del Papa” è arrivato ai piani alti della Santa Sede. Una prima lettera anonima indirizzata al Santo Padre è stata inviata anche a Comastri e ad altri due cardinali: Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il Clero, e Angelo Sodano, Decano del collegio cardinalizio, nonché ex Segretario di Stato.
Dal 2014 sugli uffici vaticani si abbatte il ciclone del giovane K. Non riammesso in Preseminario, proprio il giorno dopo aver raccontato degli abusi sessuali al cardinale Comastri, comincia a scrivere a tutti. Al cardinale Becciu, spiega: “Lo sapeva mezzo, se non tutto l’Oltretevere”. Al vescovo di Como, Coletti, da cui non riceve risposta. Altri scambi epistolari hanno come destinatari il cardinale Comastri e don Magistrelli dell’Opera don Folci. A settembre 2013 la denuncia arriva sul tavolo di monsignor Damiano Marzotto, sottosegretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, il quale informa K. di aver girato tutto alla Congregazione per il Clero. Allora il polacco si affretta a scrivere al cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione fino al 2021. “Perché gli scandali sessuali del Preseminario e il fatto di essere stati coperti dal Rettore diventano ora un vero tabù? Perché non si può parlarne? Il vescovo di Como pare sia interessato ad ascoltare solo una parte e a negarmi il diritto alla difesa. Forse anche lui ha un qualche interesse nel nascondere la verità, ma io sicuramente non mi fermo qui. Non mi faccio sputare in faccia. La verità deve venire fuori”.
(…) Visto che in Vaticano non si muove foglia, K. gioca ancora tre carte, nel 2016. Scrive ad Antoine Herouard, rettore del Seminario Francese di Roma. Dopo quattro mesi di silenzio decide di arrivare direttamente ad un passo dal paradiso. Il 23 novembre scrive a papa Francesco e per conoscenza anche ai cardinali Pietro Parolin e Beniamino Stella. Più in alto di così c’è solo Dio, ma per quello non servono le lettere.