di Leonardo Botta

Tra il ministro Lollobrigida che (stra)parla di sostituzione etnica e Massimo D’Alema (per il quale evidentemente è finita la “quarantena” dopo la vicenda della vendita di armi alla Colombia) che invece in tv elogia l’impero romano e Caracalla, secondo l’ex leader della sinistra paladino dell’integrazione e dell’accoglienza nell’antica Roma, ci dev’essere un terzo modo per affrontare il nodo dell’immigrazione. E giova forse ricordare che l’Editto di Caracalla, tanto lodato da D’Alema, forse non fu dettato da nobili fini di accoglienza ma piuttosto dall’esigenza di rifocillare le casse dell’impero ampliando la platea dei contribuenti, appunto con i nuovi sudditi a cui l’imperatore concedeva la cittadinanza.

Io penso sia da stolti non considerare gli immigrati una risorsa per il nostro paese, nel quale noi “indigeni” mettiamo al mondo sempre meno figli (meno di quattrocentomila nascite nell’ultimo anno, un rapporto figli per coppia sceso ormai a unovirgoladue). Ma, al contempo, è da radical chic (aborro questo termine, ma quando ci vuole ci vuole!) non preoccuparsi di questo cronico, temo irreversibile calo demografico che da decenni colpisce gli italiani, rispetto al quale tutte le misure messe in campo dai vari governi si sono rivelate inadeguate. È questo il punto: in Italia la politica dovrebbe preoccuparsi prioritariamente, a mio avviso, di due questioni intimamente connesse tra loro, la sanità e il sostegno alle famiglie; ed è di tutta evidenza che una delle cause dei problemi della salute pubblica sia l’invecchiamento della popolazione. Allora sarebbe necessario investire ogni soldo (che, ahinoi, scarseggia) nella cura delle persone e per incentivare nuove culle.

Invece il paese dei Guelfi e Ghibellini si è incartato in una guerra ideologica tra opposte tifoserie, tra chi volentieri piazzerebbe una bomba sotto ogni barcone o barchino in viaggio verso le nostre coste, e chi invece aprirebbe ogni porto, porta o valico a chiunque provenga da altre parti del globo terracqueo. Così ci siam ritrovati una pessima legge, la Bossi-Fini (che i governi di centro-sinistra si sono ben guardati dal correggere) che, consentendo l’ingresso in Italia solo a chi fosse in possesso di un contratto di lavoro, di fatto ha reso l’immigrazione tutta illegale (salvo sanatorie) senza provare a ragionare di auspicabili norme su flussi migratori regolari e controllati; e una sinistra che per anni ci ha rifilato il mantra dell’integrazione a ogni costo negando ogni risposta alle pur legittime istanze d’identità e di sicurezza, rispetto a certi fenomeni di criminalità che serpeggia tra alcune frange delle comunità straniere, che giungevano da parte di ampi settori della società.

E siamo andati avanti per slogan tra “porti chiusi”, “affondamento di barconi”, “aiutiamoli a casa loro”, “abbasso le moschee e il Ramadan” (un po’ figli del “mamma li turchi” di letteraria memoria) da una parte; “accogliamoli”, “integriamoli”, “jus soli” (a cui, per la cronaca, sono contrario, ma favorevole a una norma tipo “jus scholae” che conferisca la cittadinanza a figli di stranieri nati in Italia che abbiano conseguito il primo grado d’istruzione) e “peace & love” dall’altra.

Ora (mi duole dirlo) il centro-destra guidato da Giorgia Meloni ha l’opportunità concreta di governare questo paese per almeno due legislature (finora non è mai successo, e questa è un’altra anomalia tutta italiana): metta in campo politiche serie per un’integrazione non indiscriminata e che costringano l’Unione Europea ad assumersi una volta per tutte le sue responsabilità. Staremo a vedere se il nuovo “Piano Mattei” varato dalla premier con i paesi del continente nero funzionerà (lo spero vivamente) e se funzioneranno altri provvedimenti come l’esternalizzazione in Albania dei centri per la gestione dei migranti (su questo ho dei dubbi). Ma, soprattutto, faccia quello di cui si è sempre vantata di saper fare: aiuti le famiglie a mettere al mondo pargoli. Su questo fronte non ha più alibi.

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