In Georgia la chiamano tutti così: “La legge russa”. È l’emendamento che obbliga media, ong, organi d’informazione e movimenti civili a registrarsi in un elenco di “agenti stranieri” se il 20% dei loro fondi arriva dall’estero. Si tratta quasi di un copia-incolla della legge che Mosca ha varato nel 2012 ed è servita, negli anni, a silenziare, smantellare e chiudere ogni organismo di informazione indipendente dal potere statale. Il disegno era già stato ritirato dal Parlamento georgiano nel marzo 2023 dopo le massicce proteste che hanno attraversato le strade dell’ex satellite sovietico, diventato indipendente dal Cremlino nel 1991. Ora però il partito al potere, Sogno georgiano, prova di nuovo la scalata verso l’approvazione: quella in prima lettura è già arrivata. È tornata la legge e sono tornati i georgiani in piazza, puntuali, per fermarla: in migliaia hanno manifestato per cantare l’inno europeo e protestare contro il governo all’entrata del Parlamento a Tbilisi.
Sogno georgiano, incubi europei. “La legge russa” è diventata ormai simbolo di riallineamento al Cremlino e allontanamento di Tbilisi da Bruxelles, con cui è stato avviata la Pev (politica europea vicinato) ormai nel lontano 2004. È simbolo di ri-sovietizzazione e accettarla vorrebbe dire pronunciare lentamente addio all’entrata nell’Unione, da cui la Georgia ha ottenuto lo status di candidato a dicembre scorso. L’Alto rappresentante Josep Borrell non ha mai usato giri di parole ogni volta che è intervenuto sulla questione: “L’adozione finale della legislazione avrà impatti negativi sui progressi della Georgia nel percorso europeo”, “la legge non è in linea con norme e valori europei”. Lo stesso messaggio è stato spedito alle autorità georgiane da Amnesty, che ha chiesto alle autorità di “fermare i tentativi incessanti di imporre una legge repressiva a una viva società civile”, come da Washington. Il 10 aprile scorso il portavoce del dipartimento di Stato Matthew Miller ha parlato di possibili sanzioni ai funzionari georgiani responsabili della reintroduzione dell’emendamento (esattamente un anno fa, furono colpiti da misure restrittive Usa 4 giudici georgiani). Al coro si sono uniti anche il presidente del Consiglio europeo Michel, il segretario della Nato Stoltenberg e il cancelliere tedesco Scholz.
Non è solo una legge, “è una scelta geopolitica” che definirà “se la Georgia va verso l’Ue o verso la Russia” ha sintetizzato Khatia Dekanoidze, ex ministra dell’Istruzione, la cui ascesa politica è iniziata con quella “rivoluzione delle rose” che nel 2003 costrinse alle dimissioni l’allora presidente Shevardnadze. Mentre promette ai cittadini di voler entrare nella famiglia Ue e Nato, intanto inasprisce sempre di più la sua retorica anti-occidentale il premier Irakli Kobakhidze, che motiva la necessità dell’emendamento in nome della “trasparenza” su mezzi che favoriscono “interessi di potenze straniere”. Per il disegno (a cui manca ancora l’approvazione in seconda e terza lettura e la firma della presidente Salome Zourabichvili, però fortemente contraria) perfino una rissa in Parlamento: la testa di Mamuka Mdinaradze, leader di Sogno georgiano, è stata colpita dal pugno dall’oppositore Aleko Elisashvili, poi a sua volta malmenato. Quando si è unito alla piazza ribelle, Elisashvili ha urlato ai microfoni della tv nazionale: “Dobbiamo ficcargli questa legge su per il culo!”, “non c’è tempo per essere educati, ci stanno trascinando verso la Russia”.
Polarizzare la società, per assicurarsi la supremazia. L’infiltrazione russa in Georgia non sta solo nella “legge russa”, maledetta dai cittadini in piazza. Ha mille volti l’influenza del Cremlino a Tbilisi e uno di essi è certamente quello dell’ex premier Bidzina Ivanishvili, il tycoon che ha finanziato e fondato Sogno georgiano nel 2012. Con una carriera costellata di (finti) addii, da decenni, è egemone, capace di tirare i fili del potere da capo del governo quanto da eminenza grigia. Dopo le dimissioni del 2013 è tornato in sella da segretario del partito nel 2018, ma solo per andarsene via nel 2021, dopo un altra vittoria del suo partito alle urne. Oggi è presidente onorario del raggruppamento che vuole far trionfare alle prossime elezioni di ottobre.
L’approvazione della legge serve a Mosca per tenere Tbilisi lontana dall’Ue, ma serve anche a lui. Una delle prerogative per unirsi all’Unione è la cosiddetta “de-oligarchizzazione” e questo è Bidzina Ivanishvili: un oligarca da 6 miliardi di dollari, accumulati grazie a speculazioni e investimenti nel settore metallurgico e bancario russo compiuti quando l’Urss è crollata. Con un’opposizione frammentata, è la piazza filoeuropea il vero nemico del miliardario. L’interrogativo perentorio non è se i manifestanti riusciranno di nuovo a bloccare la legge come hanno già fatto in passato, ma se riusciranno a fermare, con la legge, lui, il suo partito e il governo.