Scienza

Influenza aviaria, il virologo Clementi: “Già un doppio salto di specie. Se si infettano animali d’allevamento per il virus diventa più facile”

L’influenza aviaria, che ha messo in allerta Stati Uniti e anche Europa, ha “già fatto un doppio salto di specie”, ma il “rischio di una nuova pandemia” potrà arrivare solo “con una trasmissione da uomo a uomo”. Massimo Clementi, virologo, professore emerito, già direttore del Laboratorio di microbiologia e virologia dell’ospedale San Raffaele di Milano, aveva già da tempo individuato nel virus H5N1 una “spada di Damocle” e quindi per questo l’appello è a mantenere “massima l’attenzione” sul comportamento del virus. Una mutazione, dopo questi passaggi tra specie, “è l’aspetto cruciale che può determinare una nuova pandemia da virus influenzale nell’uomo”.

L’Oms ha comunicato che probabilmente il paziente umano degli Stati Uniti potrebbe essere stato infettato dalla mucca. E ora ha espresso “enorme apprensione per il salto di specie”. È davvero il momento di preoccuparsi?
Non cambia molto, perché fortunatamente si tratta di un’infezione umana da parte di un virus che viene da un ambito animale. Non un’infezione interumana e quella sì che sarebbe preoccupante. Se l’infezione fosse trasmessa da un uomo, vorrebbe dire che il virus si è adattato. In questo momento però bisogna invitare alla massima attenzione, perché il virus ha già fatto un salto di specie doppio e questo ci spinge a non escludere che questo salto di specie possa avvenire per l’uomo o che il virus possa successivamente dimostrare una capacità di diffusione importante. È passato da una specie aviaria selvaggia a mammiferi selvaggi e ora abbiamo un mammifero da allevamento, una mucca, che ha trasmesso all’uomo. Accudiva questi animali e quindi aveva una relazione di vicinanza con l’animale. Se questa persona fosse andata a casa e avesse trasmesso l’infezione a moglie figli o nipoti o agli amici con cui gioca a carte, allora parleremmo di un’altra cosa.

In una intervista disse: “Abbiamo una spada di Damocle sulla testa ed è l’influenza aviaria”. È stato profetico.
Mi meraviglio che ci si meravigli adesso. Era abbastanza normale che dopo la pandemia di coronavirus ci fosse un problema influenza. Nel 2011 c’è stato un virus influenzale nuovo che si chiamava allora H1N1, perché era un misto tra un virus umano e un virus del maiale che si era formato in Messico e tutti temevamo che ci potesse essere una nuova pandemia. In realtà fu una cosa lieve, si diffuse pochissimo e per di più in estate e autunno. Però se H5n1 dovesse arrivare nell’uomo dovremmo disegnare un vaccino, stabilire una profilassi e una strategia vaccinale completamente nuova. Al momento non ci sono elementi però perché questo avvenga.

È in via di pubblicazione da parte di alcuni ricercatori italiani uno studio sul rischio che il virus si adatti ai recettori umani.
L’emoagglutinina è uno dei due geni che codificano per le due proteine più importanti della superficie del virus. L’altro si chiama neuraminidasi e sono quelli che determinano le caratteristiche immunologiche del virus. Ora è chiaro che in questi passaggi di specie il virus deve modificare proprio queste proteine superficiali, questa cosa genera un pericolo e bisogna prestare attenzione perché è l’aspetto cruciale che può determinare una nuova pandemia da virus influenzale nell’uomo. Ne abbiamo già avute in passato e non sarebbe una novità.

Bisogna precisare che questo virus circola da oltre 20 anni, mentre Sars Cov 2 era sconosciuto.
Bisogna prestare attenzione comunque. L’auspicio è che non ci sia la trasmissione interumana. Però ci sono delle condizioni che possono giocare a favore di questo rischio.

Prima delle mucche c’erano stati già altri mammiferi maiali e anche gatti. Quindi possiamo dire che questo è un virus che si adatta lentamente e che quindi abbiamo anche più tempo per sorvegliarlo?
In realtà ha un vantaggio: la specie di partenza è una specie difficilmente controllabile. Sono specie aviarie selvatiche che girano per tutto il mondo. Le anatre passano dalla Norvegia, Finlandia fino alla Tunisia e ovviamente rischiano di infettare tutte le altre specie aviarie. Dalle specie aviarie si possono infettare animali diversi, se si infettano animali d’allevamento tutto diventa più facile per il virus. In passato, ad esempio per i coronavirus – la specie che si comporta più o meno nello stesso modo, pur avendo delle differenze biologiche importanti – erano stati infettati i visoni d’allevamento.

Secondo lei la distruzione degli habitat, i cambiamenti climatici, gli allevamenti intensivi possono dare un’accelerata al processo?
Sì. Però queste pandemie ci sono sempre state, magari partivano più lentamente. Un tempo il mondo era meno globalizzato e quindi ci voleva più tempo per invadere, però la Spagnola nell’immediato dopo guerra si è diffusa in tutto mondo. Quindi, da questo punto di vista è il virus che vince, al di là dell’intervento dell’uomo. Però è chiaro che un mondo globalizzato come il nostro non aiuta. C’è anche il clima: ci sono altri virus che bussano alle nostre porte come quelli che vengono trasmessi da vettori come le zanzare (Dengue, Febbre del Nilo). Venticinque anni fa in Italia per esempio non c’era la zanzara tigre.

Ciclicamente nei trend delle notizie viene fuori la malattia X. L’Oms ha più volte avvertito di una potenziale minaccia. Potrebbe essere l’aviaria oppure dobbiamo aspettarci davvero che arrivi un altro agente patogeno sconosciuto?
Potrebbe essere l’avaria oppure potrebbe inserirsi tra l’aviaria e il resto un altro agente patogeno, come del resto è già successo in passato. È interessante, ad esempio, studiare tutte le pandemie che ci sono state nel mondo occidentale perché diverse sono dovute al cambiamento degli stili di vita, alla diffusione dei viaggi. La stessa peste, che è batterica, si è diffusa con i commerci con il Mar Nero perché le navi genovesi tornavano cariche di merci, ma anche di topi infetti. C’è la possibilità che arrivi una infezione X, ci sarà sicuramente, ma l’importante è mantenere alta l’attenzione, le difese immunitarie con vaccini e farmaci e cercare di evitare le condizioni che possono favorire il virus. Un esempio è questo dei virus a trasmissione attraverso vettori. Se noi non li eliminiamo.