Sono passati quasi cinque anni e mezzo dal giorno in cui a Sorbolo, piccola frazione della pianura parmense, l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini disse: “Sono orgoglioso di consegnare i beni confiscati alla mafia”. Volle essere lui ad aprire le porte ai giornalisti per mostrare uno di quegli appartamenti, al numero 2 di via Montefiorino, che da allora dovevano servire come foresteria e alloggi di servizio per diverse famiglie di finanzieri. Un esempio virtuoso di riutilizzo dei beni comprati o costruiti dalla ‘ndrangheta con la frode, l’inganno, il riciclaggio di soldi sporchi.
La favola bella però è rimasta appunto solo una favola, perché quei 13 alloggi, come le 10 autorimesse e le cantine collegate, ancora oggi sono vuoti e sigillati. La Guardia di Finanza li aveva avuti in consegna in comodato gratuito, ma per renderli abitabili servivano interventi costosi sugli interni ancora grezzi. Spese che il Corpo di Polizia non poteva da regolamento sobbarcarsi prima della confisca definitiva dei beni, spiega a ilfattoquotidiano.it il comandante della provincia di Parma, colonnello Fernando Capezzuto. Qui nasce il problema, perché l’iter giudiziario relativo a quegli appartamenti ancora oggi, nel 2024, non è concluso e pende sul loro destino la spada di Damocle del giudizio sulla “buona fede” dei creditori.
I mafiosi sono abituati a fare affari con i soldi degli altri, in particolare istituti di credito, rilasciando garanzie e fidejussioni false o di terzi. E a non pagare quanto dovuto. I creditori rimasti all’asciutto si insinuano nella confisca e partono nuove procedure dai tempi indefiniti, o per meglio dire infiniti. Il fatto abbastanza clamoroso è che tra i creditori legittimi che attendono ancora il terzo grado di giudizio per quegli appartamenti non ci sono solamente istituti di credito, ma anche il Comune di Sorbolo, per l’IMU evasa dai mafiosi, e il Ministero delle Finanze per le tasse non pagate. La conseguenza è una beffa: lo Stato che assegna il bene è anche uno dei soggetti che ne blocca l’assegnazione definitiva. Ulteriore conseguenza negativa: il bene strappato alla ‘ndrangheta e riportato alla comunità diventa un onere anziché una occasione di riscatto, considerato che mediamente in Italia tra il sequestro e l’effettivo riutilizzo sociale trascorrono dieci anni.
A gennaio 2023, non essendo ancora conclusa la lunga procedura, la Guardia di Finanza ha così deciso di rinunciare agli appartamenti di Sorbolo lasciandoli all’ANBSC (Agenzia nazionale che gestisce i beni confiscati e sequestrati) senza mai averli utilizzati. La palazzina in via Montefiorino si trova a poche centinaia di metri dal confine tra le province di Parma e Reggio Emilia. È solo una piccola parte dell’enorme speculazione edilizia messa in atto dalla cosca Sarcone/Grande Aracri in riva al fiume Enza e disvelata nelle sue dimensioni dal processo Aemilia. 130 unità abitative tra appartamenti e garage, oltre a sette ettari di terreni, acquistati ed edificati attraverso il reimpiego di soldi sporchi e con il consueto contorno di truffe, fatture false, minacce, società di comodo e finanziamenti “facili”.
Un vastissimo investimento del valore complessivo di 20 milioni di euro per il quale Aemilia ha accertato definitivamente la responsabilità penale dei capi emiliani della cosca cutrese, da Romolo Villirillo a Giuseppe Giglio, da Gianluigi Sarcone ad Alfonso Diletto e allo stesso boss Nicolino Grande Aracri. I cantieri del cosiddetto “Affare Sorbolo” andavano avanti con enormi provviste in “nero” che prendevano la strada della Svizzera e di Montecarlo e con l’assalto tra il 2007 e il 2011 alle banche, che oggi chiedono di rientrare di quanto a suo tempo concesso. Alcuni degli appartamenti recuperati, anche vicino alla palazzina ancora chiusa, sono stati assegnati negli ultimi anni, dice a ilfattoquotidiano.it l’Amministratore Giudiziario di Aemilia Rosario di Legami, a famiglie di ucraini fuggiti dalla guerra, ma si tratta sempre di soluzioni provvisorie.
Il ministro Salvini, quel giorno del dicembre 2018, disse: “Siamo più forti noi. Mafia, camorra e ‘ndrangheta saranno cancellate dalla faccia di questo splendido paese”. Cinque anni e mezzo dopo le organizzazioni criminali e mafiose in tutto il Nord Italia sono vive e vegete, mentre l’originaria legge 196 di 23 anni fa sull’utilizzo sociale dei beni confiscati mostra tutte le sue lacune. L’unica strada nuova che la politica ha saputo progettare è stata quella della “vendita” dei beni, con i pesanti rischi che essa comporta di ri-acquisto da parte dei mafiosi. E gli appartamenti di Sorbolo, intanto, restano vuoti.