Tra pochissimi giorni entrerà in vigore il decreto legislativo (il n. 44/2024 del 6.4.2024) con il quale il governo ha dato attuazione alla legge delega cosiddetta Cartabia del 2022. Molte le norme discutibili. Tra gli esami che gli aspiranti magistrati dovranno superare, ad esempio, è stato introdotto, in modo surrettizio e in evidente eccesso di delega, una prova che dovrebbe valutare la personalità dei candidati con la somministrazione di test e valutazione degli stessi da parte di esperti psicologi. Questa disposizione, che si pone in netto contrasto con la Costituzione, dimostra anche un certo bipolarismo nella politica giudiziaria da parte dell’Esecutivo nel corso di questa legislatura.
Da un lato si vorrebbe consentire l’accesso facilitato in magistratura di altre categorie professionali con concorsi riservati, dall’altra si intende rafforzare il controllo sulle valutazioni di professionalità e sulla capacità e competenza tecnica (oggi anche le attitudini psicologiche) del magistrato. Dapprima si chiede un maggior controllo sul merito dei provvedimenti giudiziari, specialmente cautelari (a mo’ di esempio: ordinanza a firma congiunta dei gip) e poi si oscura al pubblico il loro contenuto, impedendo il doveroso controllo e la necessaria pubblicità dell’esercizio di questo enorme potere in mano all’autorità giudiziaria.
Prima il problema sembrerebbe quello della carriera unica tra magistrati giudicanti e requirenti a causa della vicinanza culturale e dei rischi sulla indipendenza nel giudizio; adesso il problema si è spostato al pre-requisito dell’equilibrio psicologico di tutti coloro che incarnano l’Ordine giudiziario.
Dapprima si cita l’esempio di Paolo Borsellino come ispiratore della propria carriera politica e si proclama che “da questo governo i criminali non avranno altro che disprezzo e inflessibilità”, ma poi, con il governo che si presiede, si abolisce l’abuso d’ufficio, si ridimensiona il principio di obbligatorietà dell’azione penale, si attenua il contenuto del reato di traffico di influenze illecite, si pongono limiti all’utilizzo o alla durata delle intercettazioni, si introducono escamotage o finti strumenti di garanzia, come quelli in materia di sequestro di telefonini, che ostacolano fortemente il lavoro degli organi competenti per l’accertamento dei crimini più gravi.
Insomma si decida questo governo e questo Parlamento. Cosa vuole dal Potere giudiziario? Quali aspettative reclama? Non è che per caso sono quelle esternate dal Vice presidente del Csm in sede di inaugurazione dell’anno giudiziario? Magari il superamento del principio di sottoposizione del giudice soltanto alla legge in favore “di un riconoscimento giuridico e sociale nella modalità con cui esercita la propria funzione e, conseguentemente, nel rapporto di fiducia che si instaura con i cittadini”. Non è che immagina il potere giudiziario come un servo sciocco di quello politico, un comodo cagnolino da salotto da addomesticare e controllare in tutti i modi, magari anche mediante telecamere nascoste o test diagnostici della capacità “di disciplinato affidamento all’ordinamento politico del momento” (il copyright è della Società Psicoanalitica Italiana)?
È difficile comprendere, se non nel senso prima descritto, la volontà politica di questo governo.
Di fronte a questa patologia del Legislatore e dell’esecutivo si assiste, purtroppo, ad un imbarazzante silenzio delle istituzioni di garanzia. Strano, ad esempio, che il Presidente della Repubblica, capace di manifestare immediatamente la doverosa solidarietà alla Premier quando essa viene criticata sui social, non sia pronto ad un gesto di umana, prima che istituzionale, comprensione e vicinanza nei confronti dei magistrati. Eppure tanti sono stati, in questi mesi, gli attacchi scomposti nei confronti di giudici e pubblici ministeri, persino da parte di un ministro della Giustizia all’interno di un’aula del Parlamento; tante anche le interpretazioni creative (per usare un eufemismo) sulla nuove fonti di legittimazione della giurisdizione (come quella propalata sede di inaugurazione dell’anno giudiziario dal vice del Capo dello Stato e in Sua presenza).
E il comitato di presidenza del Csm? Le correnti associative reclamano la politicità del governo autonomo della magistratura. E allora perché non richiamano anche i componenti di diritto dell’organo di governo autonomo ad esprimere un netto dissenso e una forte critica a questa opera di continua delegittimazione e discredito? Occorre una reazione sinergica dei magistrati.
Sembra giunto il momento, anche per noi, di manifestare apertamente e convintamente il dissenso, a dispetto dei tentativi politici di silenziare il diritto di critica e di manifestazione del pensiero, libertà fondamentale consacrata dalla normativa eurounitaria e dalle sentenze della corte di giustizia Ue.
Potremmo agire in questo modo, muniti dei simboli del nostro Servizio (Costituzione e toga): sarebbe il caso di riprendere, orgogliosamente, a sventolarli davanti alla sede del Parlamento o del governo (anche nei singoli uffici giudiziari).
Andrebbe anche modificata la strategia comunicativa. Dovremmo usare di più i social per fare arrivare la nostra voce (del tutto silenziata nel dibattito dei tradizionali media) a tutti i cittadini e ai giovani (che di fatto monopolizzano la rete). Oppure potremmo stare in silenzio davanti al Quirinale o al Csm, se non davanti a Palazzo Chigi o a via Arenula, e aspettare, nello stesso stato di quiete, se non di indifferenza, mantenuto da tante Istituzioni (e purtroppo anche da tanti cittadini) nei confronti della nostra categoria.
A fronte di una condotta così maliziosamente schizofrenica del Legislatore verrebbe da chiedersi, infine, se non sia il caso di somministrare test psicoattitudinali anche a chi, nei Palazzi della Politica, sembra affetto da disturbi tali da necessitare un tso.