Le tre parche che vessano Cuba: embargo sempiterno, miopia di un socialismo irreale, egoismo del privato. Il primo e più noto, “el bloqueo”: i beneficiari non possono servirsi di Western Union per ricevere denaro dall’estero a cifre ragionevoli, mentre i donatori devono sottostare ai metodi usurai di agenzie che aggirano l’embargo con escamotage, avvantaggiando quei pochi che possono sostenere i loro costi; i bonifici bancari, che passano per le banche statunitensi, sono oberati di commissioni e rischiano di essere bloccati. Così come fa PayPal, che minaccia anche di cancellare dalla lista dei clienti gli ignari che vi ricorrono.
Il gioco sporco del privato
Nella capitale chi non ce la fa ripiega sulla monnezza, giovani e anziani, la cui pensione media oscilla intorno ai cinque dollari mensili. I quartieri del ceto medio pullulano di disperati che saccheggiano i secchioni, anche se il camion dei netturbini li vuota ogni sera. Stupisce tale “abbondanza” in un paese in cui manca tutto, e quel poco si ricicla subito. Sorprende anche che le botteghe siano sempre frequentate, nonostante i prezzi folli dei generi alimentari d’importazione, penalizzati da un cambio tra dollaro e moneta nazionale in continuo aumento.
La nuova catena dei mayoristas Mipyme – i grossisti privati che oggi monopolizzano il commercio all’ingrosso con il beneplacito del governo – fanno affari d’oro, puntando ovviamente sull’élite dei cubani con “plata” che formano la nuova borghesia rampante, basata innanzitutto sulle rimesse dei residenti Usa. Pagano tasse ai minimi storici (5% su entrate auto-certificate, esenti da controllo), mentre periodicamente fanno sparire generi alimentari di prima necessità, come è stato a Pasqua quando lorsignori hanno smesso di consegnare olio e latte ai negozi al dettaglio. Secondo le voci che ho raccolto, poiché pagano la merce importata in dollari e la rivendono in pesos, i Mipyme ne occultano parte in magazzino finché il cambio $/cup non sale, per poi venderla quando la svalutazione raggiunge il picco.
Sta di fatto che un litro d’olio di girasole due mesi fa costava 700 cup (quando il cambio era 1:220) ma ora che è ricomparso ne costa 1500, il latte 1700 (6 dollari al litro) mentre il contadino vende il latte fresco a 60 centesimi di euro ma il governo glielo paga 30 cup, ovvero 0,09 €. Risultato: per la gente comune latte, uova, carne bovina sono un miraggio mentre il cambio marcia trionfalmente verso un nuovo record: 1$ = 350 cup. Cuba potrebbe essere autonoma almeno per gli alimenti base, ma la miopia di Stato e privato, ingessati sull’import carissimo, non lo consente.
Il quotidiano Granma ha pubblicato la notizia che l’agenzia CubaMax in Florida ha chiuso un accordo con il vettore governativo AeroVaradero per carichi di carne made in Usa che i residenti cubani all’estero spediranno sull’isola. Dubito che almeno stavolta ai poveracci arriverà la bistecca dei loro sogni. Difatti anche qui sono presenti i Mipyme che si occuperanno della refrigerazione: il loro intervento costa, così come quello di CubaMax che non è una ong no profit. Un pacco alimentare di Cuballama, comprato su Amazon, costa circa 170 dollari americani: 1 Lt di olio, 3 kg di pollo, 5 di riso, 2 di fagioli, 30 uova, + 1 kg di detersivo (FqMillennium agosto 2023 f.b.) Alla faccia della donazione.
Vuoto a perdere di potere
Il governo cubano allo stato attuale, oltre ad abdicare ai suoi doveri di tutela sociale, interviene nelle questioni economiche come un Re Mida all’incontrario: quello che tocca non lo trasforma in oro, bensì in letame. Anzi, in maniera più esplicita: “No soy el Rey Midas, yo soy el opuesto porque todo el oro que toco en m… a lo convierto” così canta El Dray, idolo del reggaeton locale. Un esempio tra i tanti: la revoca da parte del Mincin (Ministerio del Comercio Interior) della licenza di vendere direttamente al pubblico al mobilificio Dujo, che si era fatto un nome nella capitale per la sua qualità a prezzi più che ragionevoli. Adesso il business passa allo Stato, a cui però non interessa direttamente, ma solo come occasione per guadagnare senza spendere soldi, affittandolo a un investitore estero.
La palla passa al Minrex (Ministerio de Relaciones Exteriores) che semmai trovasse questo improbabile filantropo, sortirebbe l’effetto di triplicare i prezzi al pubblico. Nel caso sarebbero tre i soggetti coinvolti: due ministeri cubani più un soggetto straniero, e nessuno vorrà rimetterci. Intanto i clienti rimangono al palo, dovendo rivolgersi ai loro parenti all’estero anche per questa merce. Rimane il mistero di uno Stato che si accanisce su piccole aziende non legate a corporazioni, mentre stende ponti d’oro ai Mipyme.
Conclusioni
Il valore più grande che si è perso in quest’ultimo decennio di crisi è la solidarietà tra la gente – fattore trainante della ripresa dopo il periodo especial degli anni 90 – evaporata definitivamente nel post Covid. Come si dice oggi “non c’è peggior nemico del cubano, del cubano stesso”. L’ascesa del commercio privato che ha favorito la nascita di un’élite che ha lasciato indietro il resto della popolazione, il persistere di un embargo caratterizzato da una finanza internazionale che limita l’accesso ai trasferimenti di denaro per il ceto impoverito, l’ottusità di un regime che conferma lo status quo con il suo assenteismo, sono i fattori principali della deriva attuale, aggravata dalla inconsapevolezza del cubano che sogna Miami senza rendersi conto che, se il comunismo male inteso è stato causa della sua miseria, il consumismo come valore sostitutivo potrebbe essere anche peggio.
Foto credit © F.Bacchetta