di Enzo Marzo
La politica italiana nelle ultime settimane è stata sconvolta dalle notizie provenienti da Bari, dove una assessora trasformista, finita nel Pd pugliese, è rimasta coinvolta in un affaire giudiziario che la dice lunga su certi sistemi di corruzione elettorale. E subito Conte ne ha approfittato per sfasciare il cosiddetto “campo largo” e – se non ci si mette presto una pezza – per regalare la regione Puglia all’estrema destra.
Tutto questo episodio ha riportato sul proscenio il cancro che ha contribuito non poco a “uccidere” la politica democratica del nostro paese. Si tratta del trasformismo. Noi non abbiamo aspettato Bari per sottolineare questa forma di malcostume e di corruzione. A parte una perenne polemica da sempre, a settembre dello scorso anno durante gli “Stati generali del liberalismo”, dove noi ogni anno assegniamo (oltre al “Premio sulla libertà”) anche una menzione di disonore, abbiamo voluto sottolineare questa metastasi citando un caso di trasformismo particolarmente indecente, soprattutto come esempio proprio di questa malattia mortale. Pubblichiamo quindi – a mo’ dimostrazione – l’anticipazione della motivazione della menzione di disonore che sarà pubblicata sul prossimo “Annuale di Critica liberale”.
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Noi di Critica liberale, unici in Italia, non ci accontentiamo di dare premi e additare presenze esemplari, ma anche vogliamo segnalare comportamenti e opere nefande. Vogliamo sottolineare l’importanza della critica. E quindi negli ultimi quattro anni abbiamo dato un premio che è una sorta di menzione di disonore per quelli che si sono particolarmente accreditati nelle battaglie illiberali. Quest’anno il nome della premiata, forse vi dirà poco o quasi nulla, si chiama Caterina Chinnici. Tuttavia coloro che sono costretti a seguire ogni giorno la cronaca politica la conoscono bene, e sono inorriditi di fronte a certe sue scelte.
Qui non ci interessa la “persona”, la lasciamo alla sua coscienza. Presentiamo il suo caso soltanto perché vogliamo soprattutto premiare una categoria politica, che lei rappresenta a livelli quasi irraggiungibili: il trasformismo. Il trasformismo della Chinnici (passata dal Pd a Forza Italia, ndr) non ha eguali, ma noi vogliamo colpire il Trasformismo come perversione della politica e come una delle principali cause del disfacimento del nostro paese. (…)
Io ho diviso il fenomeno del trasformismo in tre categorie che hanno distrutto la politica italiana. Però devo fare un’avvertenza: sia chiarissimo che noi non condanniamo coloro che cambiano idea – perché, anzi, spesso il mutarla è un merito – ma quelli che si convertono solamente perché colgono cinicamente l’opportunità del cambiamento. Soltanto per guadagnarci qualcosa.
Precisato questo, il trasformismo si realizza in tre modi: nel primo annoveriamo il trasformismo dei singoli, di coloro che si fanno brutalmente comprare con soldi o con spezzoni di potere. Il record di velocità spetta a Giulio Tremonti: socialista e anche candidato Psi, nel ’93 passa ad Alleanza democratica e l’anno successivo si fa eleggere nella Lista Segni. Ma ancora prima che la legislatura si apra e i deputati si siedano per la prima volta sugli scranni di Montecitorio, il velocista-trasformista Tremonti va a Forza Italia (dello schieramento opposto) e viene ripagato con il ministero delle Finanze.
Invece insuperabile nel triplo salto in lungo si è dimostrato Marcello Pera. Partenza da socialista, primo salto in Forza Italia, secondo salto in Lega salviniana e terzo salto tra i neofascisti meloniani. Un posto sul podio spetta anche a Michela Rostan, eletta nel Pd dal 2013 al ’17, ma il Pd è troppo poco di sinistra e quindi va a collocarsi in LeU, la vera sinistra, dove si accomoda per un anno, il tempo che basta per “rubare” all’elettorato di sinistra un seggio da deputata e trasmigrare in Italia viva, ma solo per prendere un po’ d’aria di centro destra. Ci resta infatti quattro mesi e finalmente (?), quarto salto in lungo con fossato, trova la vera sinistra in Forza Italia. Sì, tra i berlusconiani. A sua discolpa c’è da ricordare però che la sua formazione politica è stati officiata da suo padre, candidato piddino trombato alle comunali di Napoli, ma soprattutto coinvolto con tanto di arresto per scambio elettorale politico-camorrista e corruzione di un consigliere comunale.
Il secondo modo ha come protagonista sempre un singolo, ma inserito in un contesto plurimo. E così, assommandosi, i singoli trasformisti sono gocce che diventano una cascata. Il caso più clamoroso è, ahimè, quello, dell’ultima legislatura, di centinaia di grillini che sono passati a destra, a sinistra, al centro, da tutte le parti, sotto il pretesto che non esisterebbe differenza tra sinistra e destra. È questo lo slogan del populismo per distruggere il conflittualismo all’interno della politica e annullare le differenze. Per cui si propone solo un ribellismo generico e/o un opportunismo che porta alle alleanze più contraddittorie pur di gestire il potere. A me sembra un fondamento idiota, contro cui basta un minimo di conoscenza storica e la capacità di dimostrare quant’è ovvio il suo contrario… Posso portare l’esempio di Vilfredo Pareto che nel 1920, nel suo Compendio di sociologia generale, difende la persistenza, nel discorso, delle “categorie” e dimostra che il loro utilizzo non può essere messo in discussione dall’argomento che queste possono non avere confini fissi e predeterminati.
Però Pareto sottovaluta che in un mondo in cui non esista più la gioventù o la vecchiaia, né la sinistra e la destra, ci si può far eleggere in un partito e il giorno dopo traslocare nel partito opposto. Così Paragone può rubare dei voti a un elettorato democratico, farsi eleggere, per poi veleggiare verso l’estrema destra. E un altro della sua stessa lista, invece, può rivelarsi accanito stalinista putiniano… Teorizzare il trasformismo significa organizzare e legittimare la truffa elettorale.
Il terzo modo in cui si realizza il trasformismo non riguarda più il singolo, ed è il più dannoso. Si realizza quando un partito o una tradizione politica tradisce tutta la sua storia fino a traslocare nello schieramento degli avversari di qualche tempo prima. Esempio di scuola è quella dei radicali pannelliani, che nel 1994 per sei “poltrone” passarono in blocco nelle file di Berlusconi, iscrivendosi addirittura nel gruppo parlamentare di Forza Italia, trovandosi così in compagnia di Previti e di Dell’Utri. Scivolando da Ernesto Rossi a Giulio Tremonti. Un vero record di salto in basso.
E poi come non ricordare i liberaloidi e i socialisti che nel nostro paese scoprirono di essere di destra e anche di estrema destra. Altro trasloco in massa è quello dei renziani, che passano più tardi al centro da un centro sinistra ridotto da loro in macerie. Tira forte vento di destra. Oplà.
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