Quella lunga barba bianca è diventata un simbolo della ricerca della verità: la prova tangibile del dolore di un padre trasformato in una battaglia per la giustizia. Vincenzo Agostino è morto oggi (domenica 21 aprile) all’età di 87 anni: per quasi 35 anni si è battuto per ottenere la verità sulla morte del figlio Nino, l’agente di polizia assassinato dalla mafia, assieme alla moglie incinta Ida Castelluccio, il 5 agosto del 1989.
Da quel giorno Vicenzo non ha più tagliato la barba e i capelli: l’avrebbe fatto – come promesso davanti alla tomba del figlio – solo dopo che fosse stata fatta verità sui mandati del duplice omicidio e sul depistaggio delle indagini. Sua moglie, Augusta Schiera, era morta nel 2019, ma Vincenzo Agostino ha continuato senza sosta la sua battaglia fino all’ultimo giorno della sua vita. Da quell’agosto del 1989 era spesso presente al palazzo di giustizia di Palermo, dove si recava in procura a chiedere novità sulle indagini. Non solo, Vincenzo ha anche capito la cosa fondamentale era comunicare ai giovani una serie di valori per cercare di seminare qualcosa per un futuro diverso. La sua storia è diventata anche un docufilm, “Io lo so chi siete” di Alessandro Colizzi, scritto da Silvia Cossu.
È il 5 agosto del 1989 quando a Villagrazia di Carini due killer uccidono il poliziotto 28enne Nino Agostino e la moglie di 19 anni Ida Castelluccio, incinta di due mesi e sposata da uno, all’ingresso di casa dei genitori di Nino. “Io lo so chi siete” è la frase che urla Ida Castelluccio agli assassini poco prima di morire. Mentre il caso viene spacciato, inizialmente, per “omicidio passionale”, “ignoti uomini dello Stato” entrano a casa Agostino e fanno sparire documenti e appunti sulle indagini che il giovane poliziotto stava conducendo. Nonostante lavorasse ufficialmente al servizio Volanti del commissariato San Lorenzo di Palermo, infatti, Agostino dava la caccia ai latitanti di Cosa nostra. “Quest’omicidio è stato fatto contro di me“, dirà davanti alla bara di quell’agente di polizia il magistrato Giovanni Falcone: avevano ucciso un investigatore che lavorava con lui, seppur in via riservata. Per tanti anni di questa collaborazione non si è saputo nulla, dato che il principale testimone della storia, cioè lo stesso Falcone, è stato ucciso nella strage di Capaci.
Saranno anni di buio e silenzio. Solo la battaglia di Vincenzo e della moglie Augusta porteranno a tracciare i contorni di una vicenda sempre più avvolta nel mistero: dentro c’è il fallito attentato all’Addaura contro il giudice Falcone, la storia di “faccia di mostro” e tanti altri intrecci. Nell’ottobre del 2023 la corte d’Assise d’Appello di Palermo ha confermato la condanna all’ergastolo per il boss Nino Madonia. La ragione dell’omicidio di Antonino Agostino sta anche nei “rapporti che Cosa nostra, e nel caso specifico la cosca dei Madonia, intratteneva con esponenti importanti delle forze dell’ordine collegati ai servizi di sicurezza dello Stato”, aveva scritto il gup Alfredo Montalto nella sentenza di primo grado. “Si sta avvicinando il giorno in cui potrei tagliare la barba perché si avvia a conclusione anche il procedimento ordinario (in cui è imputato un altro boss mafioso, Gaetano Scotto, ndr). In caso di condanna, posso dire che quel giorno potrò mantenere la promessa che ho fatto sulla tomba di mio figlio”, aveva commentato Nino Agostino dopo la conferma dell’ergastolo per Madonia.