Ancora una revisione al rialzo per i costi del Superbonus, che fa lievitare al 7,4% il deficit 2023. E la procedura d’infrazione Ue diventa praticamente inevitabile, rendo ancora più stretta la strada del governo per passare dallo scenario tendenziale descritto nel Def a una legge di Bilancio che dovrebbe trovare 20 miliardi solo per rinnovare le misure già in vigore. A partire da taglio del cuneo fiscale e Irpef a tre aliquote. Ad annunciare il ritocco all’insù sono state Istat ed Eurostat. Il deficit/pil era già salito dal 5,3% conteggiato nella Nadef lo scorso autunno al 7,2% a marzo. Ora il contatore segna 7,4%, “il più alto in Europa” dice Eurostat. Senza escludere ulteriori rialzi “limitati” legate “alla fisiologica stabilizzazione del dato relativo alla cessione dei crediti nei prossimi mesi” e ai “dati sulle detrazioni desunte dalle dichiarazioni fiscali, che saranno disponibili solo dopo la fine dell’anno”. Il tutto, avverte l’Istat, fra “incertezze sull’evoluzione dell’economia, legate soprattutto alle incognite dello scenario geopolitico”.

Numeri che scatenano l’opposizione. Luigi Marattin (Italia Viva) che parla di “governo allo sbando” che viene “smentito dall’Istat”. La Banca d’Italia spiega che le previsioni si discostano solo lievemente dal Def. Ma il costo del superbonus, fra le deroghe concesse lo scorso anno (a partire dai condomini) e un meccanismo di incentivi molto generoso, è lievitato di 77 miliardi solo sul 2023. Cinque volte quanto stimato. E così restano margini risicati per le altre misure: Sergio Nicoletti Altimari, capo dipartimento Economia e Statistica di Via Nazionale, di fronte all’intenzione del governo di prorogare il taglio del cuneo fiscale avverte che “un’ulteriore proroga di natura temporanea degli sgravi contributivi accrescerebbe l’incertezza sull’evoluzione futura dei conti pubblici”. Con la proroga, “il disavanzo sarebbe superiore rispetto a quello tendenziale a legislazione vigente di circa un punto percentuale del Pil in media d’anno nel triennio 2025-27, rimanendo al di sopra del 3% in tutti gli anni dell’orizzonte previsivo”. Senza contare la necessità di investire nella sanità, dove la Corte dei Conti giudica gli stanziamenti “non in grado” di evitare il decadimento dei servizi offerti.

C’è il debito sotto la linea finale di bilancio dei massicci incentivi ereditati dalla pandemia. Per ridurlo il governo contava sulle privatizzazioni, ma le stime di un punto di Pil di introiti stimati dalla Nadef nel triennio 2024-2026 scendono nel Def a sette decimi di Pil nel triennio 2025-27. “Sono molte le ragioni che rendono impegnativa la sfida della riduzione del rapporto nel breve e, soprattutto, nel medio termine”, avverte la Corte. “Posizioni debitorie eccessive finiscono per esporre il sistema economico a rischi di instabilità”.

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