Presidio di cultura e diritti, si è concluso con successo il trentanovesimo festival cinematografico Lgbt di Torino. Il Lovers Film Festival è gestito dal Museo Nazionale del Cinema, ed è vittoriosamente sopravvissuto alla svolta a destra della Regione Piemonte. Se Fratelli d’Italia (che in Piemonte presenta profili molto più reazionari della media nazionale) dovesse prevalere nella competizione interna al centrodestra alle prossime Regionali, potrebbe mettere i bastoni tra le ruote alla prossima edizione di questo festival, la quarantesima. Vladimir Luxuria, direttrice di Lovers, ha comunque gettato il cuore oltre l’ostacolo nel saluto di chiusura, auspicando che l’anno prossimo sia presente anche “l’europarlamentare Ilaria Salis”.
Il premio principale della Giuria è andato a Les Tortues del regista belga David Lambert. Il film racconta le oscillazioni di una vecchia coppia, la routine, la stanchezza, ma anche il persistere della passione. “Da giovane – dice Lambert – mi rendevo conto che non ci sono modelli e storie raccontate di coppie omosessuali anziane e di lunga durata. E’ venuto il momento di parlarne, di descrivere personaggi che si danno la opportunità di una seconda vita, di superare la durezza del mondo”. Les Tortues è uno dei pochi film in cui non c’è traccia delle tematiche di omofobia e transfobia.
Un altro, tra i film che ho seguito, è l’argentino Luces Azules, del regista Lucas Santa Ana. In un appartamento di Buenos Aires, per festeggiare il settantesimo compleanno di Alejandro si ritrovano quattro coppie e… un vedovo. La serata si rivela una antologia di storie e storia gay e lesbica, confronto di epoche e generazioni, con tutti sentimenti e le situazioni che si possono immaginare: nostalgia dei tempi del cruising, confronto con l’ epoca di internet e delle app, incontri occasionali e gelosia, sieropositività, elaborazione del lutto, desiderio di maternità, problemi di linguaggio. C’è un certo conservatorismo da parte dell’unico maschio (etero e maturo) della serata, ma le sue perplessità sulla maternità lesbica e sulle desinenze “schwa” sono in fondo quelle che potrebbe avere anche un omosessuale poco all’avanguardia.
Negli altri film in competizione invece omofobia e transfobia sono presenti come lo sfondo indispensabile, il controluce inevitabile, delle storie Lgbt raccontate. Ma le fobie hanno intensità e caratteristiche diverse. C’è quella di cui è vittima il barbiere effeminato del corto Tu tijera en mi oreja odiato dal suo cliente gay “maschile” perché “voi checche ci rovinate la reputazione”. C’è la pesante transfobia che subiscono le due greche trans del corto greco, che finiscono inseguite da poliziotti che le vogliono bullizzare.
A ricevere il premio del Torino Pride è stato il film The judgment di un regista arabo, Marwan Mokbel, coraggiosamente ambientato in Egitto. Ritorna per qualche giorno nella patria d’origine una coppia gay ormai statunitense. E subito comincia una pesantezza di situazioni, e soprattutto di incubi e stregonerie. Pregiudizi familiari e religiosi gareggiano con le apparizioni e i flash un po’ horror.
La situazione si scioglie solo verso il finale quando sorprendentemente, accompagnando il figlio e l’amico verso l’aeroporto, la madre di uno dei due dice che Allah può comprendere e benvolere anche le diversità.
Un bel discorso di accettazione da parte della madre – mi ha sorpreso la coincidenza – c’è anche nel film che ha vinto il premio del pubblico, Duino, dell’italo-argentino Juan Pablo Di Pace. È la storia della ricostruzione di un primo amore mai andato in porto, quello tra l’argentino Matias e lo svedese Alexander che si incontrano alla scuola internazionale di Duino. Perché non riescono a dichiararsi, a toccarsi? Sullo sfondo non c’è nessun fanatismo religioso alla egiziana, c’è un ambiente colto e liberale a metà degli anni 90. Ma l’omofobia è sottile e interiorizzata, e soprattutto lo è nel vivace e apparentemente estroverso Alexander. La sua gemella non ha nessun problema a fare le sue (fallite) avances a Matias, ma lui non riesce neanche a concepirlo.
Accludo anche un breve contributo video in cui parlo di questo punto con il regista Juan Pablo Di Pace.
Concludo questo post con un saluto al Sunny Bunny Film Festival che si sta svolgendo a Kyiv (fino al 26 aprile) al quale quest’anno non ho potuto partecipare.