La seconda stella nel derby. Lo scudetto in faccia al Milan, nel loro stadio, sotto i loro occhi. L’umiliazione finale. L’apoteosi nerazzurra completa. L’Inter è campione d’Italia per la 20esima volta. Ma questa non ha precedenti. Non solo per la cifra tonda, un traguardo storico sognato da anni, conquistato con cinque giornate d’anticipo, raggiunto prima dei cugini, che colloca ufficialmente i nerazzurri alle spalle della Juventus, staccando i rossoneri, scavando un solco. Ma perché mai era successo che il campionato venisse aggiudicato nella stracittadina, sommando trionfo a trionfo.
L’1-2 di San Siro, i gol di Acerbi e Thuram, sono la chiusura di un cerchio. Perché questo successo è anche e soprattutto il sigillo della superiorità interista, schiacciante, definitiva. Il derby dello scudetto arriva dopo il 5-1 dell’andata, la vittoria nerazzurra più larga della storia moderna, che dopo anni di sfottò ha quasi pareggiato il famoso 0-6 che generazioni di interisti si sono portati nella memoria per due decenni. Così come la doppia vittoria in semifinale di Champions lo scorso anno aveva vendicato la sconfitta europea del 2003, altra ferita mai cicatrizzata. E poi ci sono state la SuperCoppa e la Coppa Italia, i 5 derby di fila vinti nell’anno solare 2023, un bilancio schiacciante di 14 successi nelle ultime 20 sfide. L’Inter di Simone Inzaghi ha fatto i conti con la storia, la sua (cancellato anche la sconfitta del 2022, di quando “si è girato Giroud”) e dell’universo interista. E l’ha riscritta.
La partita è stata un po’ il simbolo della stagione. Una vittoria netta, ma non scontata. Nella corsa al titolo sono stati decisivi gli scontri diretti: il successo a San Siro contro la Juve, per schiantare le velleità da scudetto dei bianconeri; la goleada nel derby d’andata, per demolire le certezze di Pioli, scavando quel divario tra ottobre e novembre che alla fine è risultato determinante. Tutto condensato nell’epilogo di questi novanta minuti. Una superiorità tecnica, tattica e psicologica totale. A partire dall’allenatore, Simone Inzaghi, l’artefice dello scudetto, perfetto anche oggi nella lettura della gara. Mentre Pioli nel suo ultimo derby si snaturava, passando a una difesa a tre, con Musah largo a destra e Leao smarrito da unica punta: una mossa della disperazione già provata con scarsi risultati un anno fa nel momento di massima difficoltà della sua gestione. E stavolta non è andata meglio.
Ne è venuto fuori comunque un match vibrante, divertente, tra chi aveva tutto da vincere e chi tutto da perdere. Una partita tesa, che è iniziata e finita a mani in faccia, sempre con protagonista Theo Hernandez, espulso nel recupero insieme a Dumfries, e poi anche al capitano Calabria, per un Milan che ha chiuso addirittura in nove nel tentativo di salvare l’onore. Ma per questa squadra un po’ depressa, a cui rimaneva come unico obiettivo stagionale evitare l’umiliazione, le motivazioni evidentemente non sono bastate. Tatticamente invece è stata una debacle: il piano era quello di chiudersi e provare a ripartire, ma invece ancora una volta i rossoneri si sono fatti infilare sistematicamente sulla profondità. E sulle palle inattive: da calcio d’angolo, con la spizzata di Pavard e il colpo di testa di Acerbi tutto solo in mezzo all’area, è arrivato quasi subito l’1-0.
L’Inter ha dominato per oltre un’ora, giocato a piacimento, mosso palla, scherzato il pressing e quel poco di furore che i rossoneri sono riusciti a mettere in campo, prima del finale della disperazione. Lautaro e Thuram hanno divorato il raddoppio. La reazione del Milan tutta in un miracolo di Sommer su Calabria, nell’unica azione degna di nota creata dalla manovra rossonera. Il raddoppio a inizio ripresa con Thuram è la fotocopia dell’andata, senza nemmeno bisogno dell’eurogol: la dimostrazione che il Milan di Pioli è uscito dal derby, dal campionato e probabilmente da questo ciclo targato Stefano Pioli. Un’ultima scintilla di rossonero solo nel finale, quando, senza davvero più nulla da perdere i rossoneri hanno buttato dentro Giroud, Okafor, Chukwueze e i nervi che restavano. Con un’Inter troppo bassa, è arrivato in mischia il gol di Tomori. Solo pathos per l’epopea nerazzurra. È il sesto derby vinto di fila, il 20esimo scudetto, la seconda stella. Una festa che resterà nella storia.