Gaia Vince: con un nome così – letto in italiano – la sua proprietaria non poteva che occuparsi della salute della Terra. Gaia Vince, invece, è inglese ma effettivamente la sua principale preoccupazione è cercare una salvezza per il mondo. Scrittrice e giornalista per The Guardian, Nature e New Scientist, anima una rubrica su BBC online dal titolo Smart Planet. Il suo ultimo libro si intitola Il secolo nomade, come sopravvivere al disastro climatico, che ha presentato in questi giorni a Roma nell’ambito del Festival della Scienza. L’ho incontrata in occasione della Giornata della Terra.
La prima cosa che viene in mente, parlando con lei è se sia davvero ancora una buona idea celebrare la Giornata della Terra, visto l’andamento inarrestabile del riscaldamento globale, acuito per di più dalle guerre in corso. Il pensiero viene subito spento dal pragmatismo di Gaia. “Più celebrazioni ci sono in questo senso meglio è. La Terra è la nostra casa, perché non celebrarla?” Certo, la celebrazione è sacrosanta basta che poi seguano azioni concrete per garantire che anche in futuro il nostro rimanga un pianeta vivibile e sicuro, cosa niente affatto scontata, anzi.
Le auto elettriche devono far parte di un sistema di trasporto globale a basse emissioni di carbonio con un trasporto pubblico molto più abbondante di adesso e molto economico, elettrico. Quindi autobus, tram, metropolitane, qualsiasi cosa… infrastrutture per biciclette! Soprattutto, abbiamo bisogno di meno veicoli privati perché l’inquinamento è grave ma è solo uno degli aspetti che rende le nostre città invivibili. Quello di cui abbiamo bisogno sono sempre più spazi sociali, luoghi dove le persone possano riunirsi, camminare e sentirsi sicure. Le auto occupano un’enorme quantità di questo spazio senza rendere nulla in cambio alla collettività. “Penso che l’uso privato dell’auto debba diminuire – mi ha spiegato Gaia Vince – ma certamente non dovrebbero esserci più motori a combustione interna nei prossimi cinque anni”.
Una utopia? Forse, ma quello di cui avremmo ancora più bisogno è di adattarci alle nuove drammatiche condizioni già in corso e che peggioreranno sempre di più. Ecco che il pragmatismo anglosassone si sposa con la storia dell’evoluzione umana: dovremmo accettare subito l’idea di stare creando un pianeta invivibile, che alcune parti del mondo lo saranno sempre di più, rendendo necessario l’aiuto dei popoli più fortunati nei confronti degli altri. L’Occidente dovrebbe cercare di aiutare quelle persone a adattarsi ai loro luoghi sempre meno ospitali per cercare di renderli più vivibili, o dove ciò non sia possibile, aiutarle a migrare in nuove zone del pianeta, più sicure.
Certo, non sarà facile fare i conti con l’atteggiamento attuale di molti politici di tutto il mondo, che vedono l’immigrazione come una minaccia. Questo punto di vista secondo la Vince non solo non è pragmatico, ma anche molto arretrato in termini evoluzionistici. La mobilità umana è sempre stata una cosa naturale. È sempre avvenuta e sempre avverrà, ma al momento abbiamo certe pressioni in diverse parti del mondo dovute a conflitti o a impatti climatici, che stanno rendendo i luoghi meno sicuri, rendendo la vita troppo difficile là dove le persone possono muoversi.
E dobbiamo anche accettare che in molti dei luoghi in cui viviamo oggi la popolazione lavorativa è in declino. Questa è una crisi demografica che diventa anche una crisi economica, risolvibile solo grazie all’l’immigrazione. L’immigrazione dovrebbe essere regolata in modo tale da risultare vantaggiosa per la società, vantaggiosa per gli immigrati e vantaggiosa anche per il paese di origine di quegli immigrati. Questo deve essere parte di una conversazione congiunta tra sindaci, bilateralmente tra paesi e globalmente, tra nord, sud, est e ovest del mondo.