Le “mazzate” erano “tante e brutte” come raccontava uno degli agenti della Penitenziaria intercettato poco più di un mese fa. Ma erano inflitte ai giovani detenuti dell‘istituto minorile Beccaria di Milano come una sorta di reazione a una situazione generale di incapacità a gestire le situazioni. È questa, a quanto pare, la linea di difesa dei primi poliziotti, arrestati lunedì per abusi e violenze, che hanno deciso di rispondere alle domande della giudice per le indagini preliminari, Stefania Donadeo. Gli agenti si sarebbero sono sentiti “abbandonati a loro stessi“, “senza controlli gerarchici e anche aiuto da parte della struttura, incapaci di gestire le situazioni”. Alla giudice hanno risposto cinque dei sei agenti, tutti giovani tra i 25 e i 35 anni e in gran parte di prima nomina, convocati per l’interrogatorio di garanzia. Uno si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Contro gli agenti però non ci sono solo le testimonianze delle vittime e di chi ha denunciato, ma diverse intercettazioni: che più che il disagio e l’inadeguatezza rispetto al ruolo riportano una propensione all’aggressività e a quella “violenza inaudita” di cui hanno parlato lunedì in conferenza stampa i pm e in particolare il procuratore capo Marcello Viola. In una conversazione, risalente allo scorso 9 marzo, riportata nella richiesta di misura cautelare, uno degli agenti sospeso confida a un collega, rispetto a un pestaggio: “Le immagini sono veramente disastrose, non sono a favore di G. (…) Nelle immagini non si vede che gli sputa sangue addosso (il minorenne, ndr), ma si vede ben altro e quello che si vede è veramente grave. Non solo schiaffi, schiaffi, calci, pugni…quello a terra. Perciò ti dico che non è un bel vedere diciamo, dai”. All’aggressione sarebbero stati presenti altri tre agenti, ma le immagini sembrerebbero restituire solo la violenza di uno. “È caduto per terra gli ha dato due calci, due pugni e l’ha distrutto! Si vede chiaramente” dice l’agente che confessa: “Le immagini le ho viste solo io stamattina”.

Sempre il 9 marzo un agente commenta con un collega: “Eh compa’ ieri sera c’ero io, però minchia compa’ … Ma non, cioè dai, tutte le mazzate che so state date qua, dai frate’, non puoi fare una cosa del genere”. In una conversazione del 22 marzo tre agenti discutono del fatto che un detenuto ha chiesto di essere risarcito per un cappotto strappato durante un’aggressione e della possibilità che due detenuti siano trasferiti in un’altra struttura. Questo il commento di uno dei poliziotti: “Manco la mamma li riconosceva per quanti schiaffi hanno preso“.

Ancora il 22 marzo in una intercettazione emerge chiara la consapevolezza che la violenza potrebbe essere punita: “Mo’ t’inculano … perché prima non c’erano le videocamere si trovavano le scuse ‘sì il ragazzo c’ba aggredito bla bla bla bla bla bla’ e ma mo’ non è più così” dice uno degli indagati. Sempre il 9 marzo la conversazione di un poliziotto con la compagna ha questo tono: “L’ha pigliata una scaricata proprio massiccia, capito? …. Però lo c’ho tre certificati: uno che a lui la costola e il livido ce li aveva già prima, perché aveva una costola rotta”. Lo stesso che dice: “… Dalle immagini non sono messo bene perché se ne vedono assai palate ….. Tante. Tante, tante e brutte … Ehh … però vabbè … alla fine … non è .. .io lo so com’è che non gli devo lasciare un cazzo ….. infatti non ha un segno addosso”. In un’altra conversazione intercettata il 28 febbraio un poliziotto dice di avere dolore: “…si no mi fa male la mano … c’ho la mano gonfia”, la collega chiede: “Perché? già hai battezzato a qualcuno .. no?” e la risposta è un doppio sì.

La giudice che ha firmato gli arresti e che oggi ha iniziato gli interrogatori di garanzia nell’ordinanza eseguita ieri ha scritto: “La pervicacia con cui gli indagati pongono in essere le proprie azioni delittuose non depone a favore di una loro imminente resipiscenza, bensì di una preoccupante recrudescenza delle medesime. Infatti, in più occasioni, e proprio quando loro già erano a conoscenza delle indagini in corso, hanno dato prova della loro inclinazione alla violenza e della loro volontà e capacità di essere sempre più feroci e crudeli verso le vittime prescelte che dovevano subire i loro sistemi educativi. Le modalità delle azioni – aggiunge – sono sintomatiche di un’assoluta incapacità di autocontrollo e della necessità di tutelare l’incolumità psico-fisica dei detenuti minorenni, che potrebbero subire, a turno, gli agiti violenti, stante la proclività alla violenza e la tenacia con cui gli indagati persistono nel loro proposito criminoso”.

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