Prima ancora della polemica su Antonio Scurati – censura sì, censura no –, prima ancora del dibattito se la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il suo partito Fratelli d’Italia riconoscano o no il 25 aprile come giorno-chiave di riscatto e rinascita democratica dell’Italia e l’antifascismo come religione laica sulla quale si è basata la ricostruzione morale e civile del Paese, prima ancora delle divisioni tutte politiche sul significato e sull’eredità di fascismo e antifascismo al giorno d’oggi, dovrebbero esserci le premesse di partenza, storiche, pacifiche, comuni e valide per tutti. E invece a un certo punto il dubbio che viene è che il patrimonio di conoscenze storiografiche non sia stato a disposizione di una certa parte di area di pensiero.
La Repubblica ha intervistato Italo Bocchino, direttore editoriale del Secolo d’Italia (che in passato è stato organo di partito del Msi e poi di An) e opinionista televisivo in “quota” (Fratelli d’Italia). E l’ex parlamentare, alla domande se il 25 aprile è una data fondativa, riesce a rispondere così: “Sì, perché ci ha dato la libertà. Ci ha liberato da quei pazzi dei tedeschi“. Una frase con cui è riuscito da una parte a derubricare a “pazzia” l’ideologia ben lucida del nazismo che aveva un suo chiaro progetto politico: totalitario, nazionalista, razzista, fondato sulla violenza e sulla sopraffazione, definizioni che peraltro sono sovrapponibili anche al fascismo. E dall’altra Bocchino è capace – non citando gli italiani – di distaccare apparentemente ogni legame tra la Liberazione e il fascismo, il suo Duce, i suoi gerarchi e le loro responsabilità che gettarono nell’abisso milioni di italiani. Purtroppo il giornale che lo ha intervistato si è dimenticato di farglielo notare.
Bocchino dice a La Repubblica che è antifascista, sì, ma non ha “bisogno di dichiararlo” perché farlo significa piegarsi a una “logica gruppettara imposta dalla sinistra che decide tra il bene e il male”. Non imposta dalla Storia che tutti studiano – magari Bocchino no – o almeno dai valori fondativi della Repubblica: dalla “logica gruppettara“. Dà la pagella a Scurati (“M contiene errori”), ma qualche secondo dopo parla di una Liberazione dai soli nazisti. Definisce l’antifascismo come una “categoria politica” che “spesso” è stata “violenta, ha fatto dei morti, lì ha ragione Lollobrigida”. Un minestrone in cui si confonde il 25 aprile con la violenza politica degli anni Settanta – che non c’entra niente con la Resistenza – che diventa uno scudo dietro al quale nascondersi. Oppure in quel minestrone si compie il gioco delle tre carte per il quale si mette a paragone la lotta di Resistenza contro il regime fascista che per ventitré anni ha conculcato tutte le libertà e si è macchiato di crimini indicibili con il “però” della questione del cosiddetto “sangue dei vinti“.
Come ha sottolineato la storica Chiara Colombini in Anche i partigiani, però…, un libro uscito qualche anno fa, l’80 per cento dei 10mila fascisti morti viene ucciso tra l’aprile e il maggio 1945: è l’insurrezione, la battaglia finale per la Liberazione, l’ora o mai più, l’arrendersi o perire. Al punto numero uno c’è mettere al tappeto per sempre il fascismo: per paura che torni, “per senso di giustizia” dopo vent’anni di soprusi “e anche per desiderio di vendetta – sottolinea Colombini – un sentimento di cui si deve tenere conto a meno che ci si rifiuti di ragionare in termini di comportamenti umani”. Non si può parlare di quei “vinti” morti “come se vittime e carnefici non avessero un passato, come se tutto iniziasse di colpo il 25 aprile”. È la dimenticanza atavica di un pezzo della destra quando si parla della Resistenza, Bocchino non può vantarne il primato.
Quella di Bocchino magari è solo una sbadataggine: infuria il dibattito sulla Memoria con la emme maiuscola e invece ha fatto cilecca la memoria con la emme minuscola, disgraziatamente proprio nell’espressione di quel concetto. O viceversa è un tentativo che la linea di ragionamento, per così dire, di destra compie da vari decenni: un colpo di cancelletto sulle colpe degli italiani, i nazisti cattivi (anzi un po’ mattacchioni), i fascisti burberi ma in fondo dal cuore tenero. La tragedia ventennale di un Paese ridotta a fumetto. Una falsa credenza che incredibilmente attraversa i decenni pur smentita da una montagna alta così di ricerca storiografica, ma che fu rilanciata ai livelli più alti delle istituzioni repubblicane.
“Mussolini non ha mai ucciso nessuno – disse quella volta Silvio Berlusconi presidente del Consiglio – Mussolini mandava la gente a fare vacanza al confino”. Ci sono varie linee di pensiero devianti per sfuocare una storia che invece è ben nitida ed è sufficiente mettersi a leggerla: come quella che c’è un fascismo del prima e uno del dopo, che le leggi razziali furono fatte per “copiare Hitler”, che la guerra fu l’unico errore di Mussolini, che fino a un certo punto si stava meglio quando si stava peggio. Dimenticando i corpi martoriati di Giacomo Matteotti, Piero Gobetti, Carlo e Nello Rosselli, Antonio Gramsci. Prove (note a tutti) del reato contestato al fascismo e al suo Duce una volta che la Storia ha celebrato il suo processo.
Come tutti sanno, il 25 aprile fu il giorno del proclama di insurrezione generale (scandito dal comandante partigiano Sandro Pertini) in tutti i territori ancora occupati e quindi fu l’ordine a tutte le forze partigiane del Nord Italia per l’attacco finale a fascisti e nazisti (“Arrendersi o perire” fu la formula usata da Pertini da imporre ai nemici occupanti). L’occupazione a cui ci si ribellava era dei tedeschi ma anche degli italiani della Repubblica di Salò, alla quale – come tutti sanno – partecipò anche il fondatore più noto del Movimento Sociale Italiano. Gli italiani, i fascisti italiani, hanno collaborato a tutte le più orribili nefandezze del 1944, l’anno delle stragi, culmine e icona di due ideologie che avevano come ragione sociale la violenza e la sopraffazione: le Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto.
Su tutto questo Scurati ha appeso la sua domanda alla presidente del Consiglio, al suo partito e alla sua area di pensiero. Al momento appare evidente che tutti preferiscano parlar d’altro.