Jp Morgan, la più grande banca statunitense, ritiene che il mondo abbia bisogno di “fare i conti con realtà” per quanto concerne obiettivi e tempi della transizione verde. In sostanza non possiamo permetterci di abbandonare troppo rapidamente petrolio, carbone e gas. I costi sono eccessivi e gli scenari sono cambiati. Gli investimenti nelle energie rinnovabili “offrono attualmente rendimenti inferiori alla media” e “se i prezzi dell’energia aumentassero molto ci sarebbe il rischio di disordini sociali”, si legge nel rapporto sulla strategia energetica di cui dà conto il Financial Times. Secondo la banca americana potrebbero essere necessarie “generazioni” per raggiungere gli obiettivi di zero emissioni nette che oggi l’Unione europea fissa al 2050. Lo scenario è reso più complesso dall’aumento dei tassi di interesse (che rende più costosi gli investimenti in nuove fonti energetiche, mentre le infrastrutture per i fossili sono già esistenti, ndr) e dalle guerre in Ucraina e Medio Oriente. I conflitti contribuiscono a tenere alte le quotazioni di petrolio e gas e ad aumentare i profitti delle compagnie petrolifere, riducendone la propensione a “staccarsi” dai fossili.
Di recente la britannica Shell, prima compagnia petrolifera privata al mondo, ha chiarito che l’interesse degli azionisti viene prima di tutto e che quindi si andrà avanti con petrolio e gas come e più di prima. Shell comunque non fa altro che accodarsi ai concorrenti americani (Exxon, Chevron, etc) che sono da sempre più restii a sposare la svolta green e per questo sono stati premiati dagli investitori. In passato alcune società di gestione del risparmio hanno dato conto di una certa irritazione dei loro clienti a cui erano stati affibbiati prodotti Esg (ossia, almeno teoricamente, conformi ad investimenti rispettosi delle politiche ambientali) e che guardavano con invidia alle performance dei titoli legati all’industria dei combustibili fossili. Per farsi un’idea, nel corso del 2023, le azioni di Shell sono cresciute del 37%, quelle di Exxon addirittura dell’80%. I rialzi sono proseguiti anche nella prima parte del 2024. Quello passato è stato inoltre l’anno dei record per i bilanci (e i dividendi) del settore. Mai si erano visti così tanti miliardi di dollari.
“Anche se l’obiettivo dell’azzeramento delle emissioni nette è ancora lontano, dobbiamo affrontare la realtà, le variabili sono cambiate”, ha detto al Financial Times Christyan Malek, responsabile della strategia energetica globale di Jp Morgan e autore principale del rapporto. “I tassi di interesse sono molto più alti. Il debito pubblico è significativamente maggiore e il panorama geopolitico è strutturalmente diverso. I 3-4 trilioni di dollari che costerà ogni anno la transizione si collocano ora in un contesto macroeconomico molto mutato”.
JP Morgan ritiene quindi che il cambiamento del sistema energetico mondiale sia “un processo che dovrebbe essere calibrato in decenni, o generazioni, non in anni”. Malek ha anche sottolineato come non sia affatto certo che dopo il 2030 il consumo di petrolio e gas inizierà a diminuire, come prospettato dall’Agenzia internazionale per l’Energia. poiché le popolazioni dei paesi in via di sviluppo inizieranno ad acquistare più automobili e a prendere più voli. JPMorgan prevede che il mondo avrà bisogno di 108 milioni di barili di petrolio al giorno nel 2030 (oggi siamo intorno ai 100 milioni, ndr).
Va detto che JPMorgan è uno dei principali finanziatori di progetti relativi ai combustibili fossili. Secondo i dati di Bloomberg, la banca ha sottoscritto 101 miliardi di dollari in finanziamenti su combustibili fossili nel 2021 e nel 2022. L’amministratore delegato Jamie Dimon ha dichiarato in un’audizione al Congresso nel 2022 che la banca avrebbe continuato a investire in grandi progetti di idrocarburi, affermando che ritirarsi da tali accordi “sarebbe stata la strada verso l’inferno per l’America” e che il mondo non stava ottenendo i risultati sperati.
Al di là degli interessi diretti della banca americana, molte delle constatazioni presenti nel rapporto sono purtroppo condivisibili. Al di là della retorica, nella lotta ai cambiamenti climatici, le cose non stanno andando affatto bene. Ancora nel 2021, l’Agenzia internazionale dell’Energia (emanazione dei paesi Ocse, quindi non pregiudizialmente ostile all’industria petrolifera, ndr), aveva affermato che solo l’immediato azzeramento di nuovi investimenti nel fossile avrebbe consentito di conservare qualche speranza per raggiungere i traguardi prefissati. Nulla di tutto ciò è accaduto, è anzi successo l’opposto. Per i consumi di petrolio è previsto nei prossimi anni semplicemente un rallentamento dell’aumento, non una diminuzione. Gli obiettivi degli Accordi di Parigi del 2015 sono ormai compromessi e i consumi di combustibili fossili continuano a salire.
L’ultima conferenza sul clima, la Cop28 svoltasi a Dubai, si è conclusa con l’ennesimo accordo al ribasso, del tutto inadeguato per la gravità del problema che cerca di gestire. Lasciati ai meccanismi di mercato le politiche per la tutela dell’ambiente stanno tragicamente fallendo. Diversi esperti hanno sottolineato la necessità di cambiare approccio, con un ruolo più attivo dei soggetti pubblici, non solo carota ma anche bastone. Un’ipotesi prospettata in passato anche dallo stesso Dimon.