La seconda stella dell’Inter, il primo scudetto di Simone Inzaghi. Questo campionato rappresenta un traguardo storico per i nerazzurri e la consacrazione per il loro tecnico. L’artefice del trionfo, il mister del bel gioco e dell’armonia, adesso anche dei successi: un nuovo grande allenatore italiano.

“Dove alleno io aumentano i ricavi e arrivano i trofei”: questa frase, pronunciata improvvidamente a fine 2022, quando la sua posizione sulla panchina dell’Inter non sembrava saldissima e queste parole suonavano un po’ come una smargiassata, alla fine si è rivelata vera. Parliamoci chiaro: ancor più che per l’Inter, questa era la stagione decisiva per Inzaghi, lo spartiacque della sua carriera. Perché vanno bene gli applausi e i complimenti, ma nel calcio valgono anche e soprattutto i titoli. E fino ad oggi la bacheca di Simone Inzaghi era piena di coppette, con tutto il rispetto per le varie Coppe Italia e Supercoppe conquistate con Lazio e soprattutto Inter.

A Roma è diverso. Quando si arriva in un grande club come l’Inter si conta dagli scudetti in su. Il primo anno, con la pesante eredità di Conte da raccogliere e la squadra smantellata sul mercato, era stato comunque positivo, anche se il campionato regalato al Milan è stato uno smacco difficile da digerire (e perdonare). Al secondo anno la cavalcata europea e la finale di Champions League giocata alla pari contro i marziani del Manchester City avevano fatto dimenticare un percorso insufficiente in Italia. Al terzo anno bisognava vincere, altrimenti qualcuno avrebbe cominciato a porsi seriamente dei dubbi su di lui. Inzaghi lo sapeva. E ci è riuscito.

La gestione della stagione è stata magistrale. Dover vincere vuol dire necessariamente puntare allo scudetto, perché in Champions l’Inter non potrebbe mai essere favorita, ci sono avversarie sulla carta troppo più forti e troppe variabili. Ed è ciò che hanno fatto i nerazzurri, anche a costo di lasciare qualcosa per strada in Europa, con scelte che facevano storcere il naso ai tifosi. La strategia ha pagato. Il distacco in classifica potrebbe dare l’illusione che sia stata una vittoria semplice, ma non è così. L’Inter ha schiantato il Milan nella prima parte di campionato, con quel 5-1 nel derby d’andata che è rimasto negli annali e nella memoria dei rossoneri, contribuendo a scavare il divario che poi si è rivelato incolmabile quando i cugini si sono messi a vincere (la stagione di Pioli è deludente solo se comparata a quella dei nerazzurri). Soprattutto, l’Inter ha retto il testa a testa contro la Juventus, che era rimasta incollata fino a febbraio, prima di sgonfiarsi come un palloncino: tanti tifosi temevano il confronto coi rivali di sempre, lo stesso Allegri con le sue provocazioni ha fatto di tutto per destabilizzare la corsa scudetto. Ma l’Inter non ha fatto una piega, demolendo tatticamente, tecnicamente e psicologicamente gli avversari nello scontro diretto, dimostrando una maturità definitiva, che partiva dalla testa. Dall’allenatore.

Inzaghi è cresciuto. È diventato grande. Si è lasciato alle spalle gli errori, che si ripetevano sempre: tutte quelle partite dominate e buttate per un gol sbagliato o uno subito di troppo. Ha superato quei limiti che ad un certo punto dell’anno scorso sembravano strutturali, al punto di ritenere ormai al capolinea la sua esperienza in nerazzurro. Ne eravamo tutti convinti, invece ha avuto ragione lui (e chi ci ha creduto). Adesso è campione d’Italia. Certo, volendo trovare un neo alla stagione si potrebbe dire che una squadra così dominante in Serie A poteva fare di più in Champions: l’eliminazione agli ottavi contro l’Atletico Madrid rimane un rimpianto, non un rimprovero per l’allenatore. Se un domani la società gli metterà a disposizione una rosa davvero all’altezza (e non un attacco con due soli titolari), allora gli si potrà chiedere di essere competitivo su due fronti. Intanto quello che conta è solo lo scudetto. L’Inter si cuce sul petto la seconda stella. Inzaghi diventa un vincente: da oggi anche lui entra in una nuova dimensione.

Twitter: @lVendemiale

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