Istruzione, cultura, conoscenza: per portarle avanti lo Stato ricorre ogni anno a più di 300mila precari, fino ad arrivare a 500mila. “Dai contratti a tempo determinato, agli assegnisti e ai collaboratori – spiega Gianna Fracassi, segretaria generale della Flc Cgil – e per molti di loro il rapporto di lavoro è soggetto a continue scadenze e rinnovi incerti, disconoscendo il valore della continuità quale elemento fondamentale per garantire la qualità delle prestazioni professionali, oltre che le prospettive di vita di centinaia di migliaia di lavoratrici e di lavoratori”.
Scuola di ogni ordine e grado. I numeri del problema sono stati presentati al Senato, contenuti nel rapporto di presentazione della piattaforma Zero Precarietà: nell’ultimo anno scolastico (2023/2024) i precari tra docenti e personale tecnico amministrativo sono stati 250mila, così divisi: 87.803 i contratti stipulati a tempo determinato su posto comune, quindi circa un docente su sette, 117.560 quelli sul sostegno, uno su due. Sono 44mila le unità di personale ATA: 22mila i contratti al 31 agosto, 15mila al 30 giugno a cui si aggiungono quasi 7mila incarichi temporanei Pnrr e Agenda Sud. “Attualmente – si legge nel rapporto Zero Precarietà – lo Stato spende in media 4.37 miliardi di euro per il pagamento dei supplenti docenti e Ata assunti in organico di fatto”. Un piano di ampliamento graduale dell’organico in quattro anni costerebbe a regime circa 8 miliardi “ma se sottraiamo quanto lo Stato spende per pagare i precari, la quota scende a 3,7 miliardi di euro” si legge. Nel settore privato, poi, rilevano come l’assenza di controlli abbia negli ultimi anni generato un massiccio trasferimento del personale dalla subordinazione alla parasubordinazione o addirittura il lavoro autonomo. Qui stimano almeno 100-150mila persone.
Università. Nelle università non va meglio. Dal 2008 al 2021, il Fondo di finanziamento ordinario si è ridotto di oltre 5 miliardi in valore assoluto, oltre il mancato recupero degli aumenti dell’inflazione e il blocco del turnover che ha implicato la riduzione di circa un terzo del personale di ruolo, quindi a 15 mila docenti e 20 mila tecnici amministrativi in meno. Nonostante un incremento del finanziamento nel 2022, con 740 milioni di euro destinati a un piano straordinario di reclutamento, il gap non è stato colmato: assegnisti, borsisti, collaboratori, docenti a contratto precari continueranno a essere tali. I fondi coprono 10mila posti nuovi ma ne servirebbero altri 45mila per portare l’Italia al pari della media europea sul rapporto docenti/studenti. Cifra simile riguarda il personale tecnico-amministrativo degli atenei.
Ricerca. In generale, spiega la Flc, la fotografia attuale delle università rispetto alla ricerca e alla docenza vede circa 41.000 docenti di ruolo a cui si aggiungono circa 4.500 ricercatori a tempo indeterminato e quasi 7.000 RTDb, mentre i lavoratori precari con contratto di RTDa sono poco più di 9.000 e circa 17.500 sono gli assegnisti di ricerca. “Numeri che aumenteranno nei prossimi mesi arrivando complessivamente a circa 30.000 unità con l’attivazione dei prossimi PRIN PNRR: questi lavoratori sono tutti necessari per garantire negli atenei l’ordinario e fisiologico lavoro didattico, di ricerca e in alcuni contesti persino istituzionale. L’universo dei precari dell’università̀ è inoltre composto da “altre figure che svolgono attività di ricerca con contratti di collaborazione, borse di ricerca (finanziate anche da soggetti esterni) o, spesso, gratuitamente. Con tutte queste figure si intrecciano anche coloro che svolgono attività di docenza a contratto, con un numero di contratti stipulati di poco inferiore a 30.000 all’anno. “Il 26 ottobre 2023 FLC CGIL, CISL e UIL insieme ai precari della ricerca chiedevano al ministro Bernini di essere ascoltati per riprendere decisamente il cammino delle stabilizzazioni denunciando il ricrearsi del fenomeno precariato con numeri paragonabili a quelli che costrinsero il legislatore a promulgare le norme per il superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni – spiega il rapporto -. Ma ciò non è stato possibile… ancora oggi attendiamo il confronto richiesto al ministro. Già oggi nel 2024, nonostante la grande necessità di ricerca, negli Enti si moltiplicano i ricercatori con contratti precari, senza che venga prospettata una strada per la stabilizzazione o un programma sostanzioso di concorsi. Quindi senza interventi urgenti la situazione del precariato negli EPR è destinata rapidamente a peggiorare di nuovo”.
Afam. Nel settore dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica, poi, senza una regolamentazione a regime, sono esplosi negli anni i contratti a tempo determinato e quelli atipici. E anche se a breve arriveranno le norme e le nuove stabilizzazioni, rimarranno comunque scoperti circa mille posti per i quali servirebbero circa 50 milioni.
Le proposte. Il sindacato spiega l’importanza di occupazione stabile per garantire inclusività e qualità, con un piano di proposta: l’assunzione di 20 mila insegnanti nella scuola dell’infanzia, 33 mila nella primaria, 14 mila nella secondaria di primo e secondo grado, e, per il sostegno, di portare i 117 mila posti in deroga in organico di diritto. Nonché un piano di assunzione quadriennale di 80 mila addetti, anche attraverso le graduatorie provinciali. Per il personale Ata, servono 22 mila assunzioni e l’assorbimento in organico di diritto di 15 mila posti, più altri 6.800 legati a Pnrr e Agenda Sud. “La nostra proposta coniuga due obiettivi – conclude Fracassi – la qualità dei sistemi e la qualità dell’occupazione nei settori della conoscenza. La precarizzazione del lavoro nell’istruzione e nella ricerca è responsabile, infatti, non solo di condannare alcune centinaia di migliaia di persone alla discontinuità lavorativa ma soprattutto di rendere più fragile l’intero sistema, indebolendo quelli che sono settori strategici per lo sviluppo del Paese. Chiediamo al governo un piano ordinario di investimenti: i soldi si devono trovare, gli altri paesi Ue ci sono riusciti mentre in Italia, purtroppo, vediamo scarsa attenzione da parte del Parlamento su questi temi e nessuna consapevolezza riguardo al fatto che istruzione e formazione sono fondamentali per il futuro del Paese”.