di Simone Lauria *
Il tema della casa, e più in generale quello delle politiche abitative, necessita di un cambiamento di paradigma da parte dei policy makers; partendo dal presupposto che occorrono strategie di carattere nazionale – le politiche della casa devono essere di interesse generale – i temi della casa e dell’abitare non possono essere affidati esclusivamente al mercato, alle dinamiche della domanda e dell’offerta abitativa.
La questione casa, negli ultimi decenni, scompare totalmente dall’agenda pubblica dopo un ciclo di politiche pubbliche (dal Piano Fanfani al Piano decennale) e si riducono i finanziamenti a sostegno dell’edilizia residenziale pubblica, sia per quanto riguarda la nuova produzione di abitazioni sia per quanto riguarda l’adeguamento del patrimonio immobiliare esistente – e gli effetti nefasti del lasseiz faire di stampo neoliberista sono evidenti.
Anche nell’ambito del Pnrr il tema, seppur presente, non è ben rappresentato; le risorse sono comunque ridotte e insufficienti; del resto non sarebbe possibile con le sole risorse del Piano recuperare gravi e cronici ritardi, ma sarebbe necessaria una vera e propria svolta, con una visione strategica che manca.
E la questione della casa assilla chi lavora: l’Atm, l’azienda di trasporto pubblico locale di Milano, fatica ormai da anni a trovare autisti; nelle scuole, i dirigenti scolastici sono impegnati, ogni anno, a completare con difficoltà gli organici di docenti e di segreterie; nella città degli eventi diventa sempre più difficile reperire personale per i servizi e per la ristorazione. Per quale motivo? Milano è diventata una città nella quale “abitare” è un lusso, come i recenti movimenti di studentesse e studenti universitari hanno dimostrato.
Avere un lavoro non è più una condizione sufficiente per vivere in città; ci vive chi ha una proprietà immobiliare da tempo – magari ereditandola – o chi riceve un aiuto da parte dei familiari.
Il Comune di Milano ha approvato il progetto “Casa ai lavoratori”, un programma per la valorizzazione alternativa del patrimonio destinato a servizi abitativi pubblici, con l’obiettivo di arrivare a zero sfitti nelle case di proprietà pubblica e, allo stesso tempo, offrire soluzioni abitative in locazione a canone calmierato a lavoratori aventi una capacità economica che non consente né di sostenere un canone di locazione sul mercato libero, né di accedere al servizio abitativo pubblico.
Si tratta di un progetto su scala locale, certamente apprezzabile, ma che impone una riflessione sulla necessità di politiche nazionali; e, a livello nazionale, non sono sufficienti le sole misure di welfare abitativo, incentrate principalmente su agevolazioni fiscali – detrazioni, deduzioni: tutte misure rivolte comunque a chi può permettersi di acquistare una casa o chi, avendola, intende ristrutturarla. Mancano però, come si è già visto, le politiche abitative; in effetti, nel welfare italiano le politiche abitative non hanno mai avuto un ruolo precipuo e l’estensione di misure di welfare fiscale, come si è visto, non sono sufficienti perché non consentono di raggiungere parti di domanda sociale molto ampie.
Se si parla di politiche abitative, poi, non si può prescindere da quelle urbanistiche e della mobilità: deve esserci necessariamente un’interconnessione tra di esse, secondo un modello di governance multilivello – il sistema casa deve coinvolgere attori molteplici: pubblici, privati e del privato sociale. E non solo: una governance in grado di controllare, nella fase di implementazione di quelle politiche, diversi aspetti: la sostenibilità ambientale, la legalità, la sicurezza sul lavoro, la regolarità contrattuale e contributiva di tutta la filiera produttiva.
La questione della polarizzazione dei redditi e delle disuguaglianze – che affligge, a dire il vero, tutte le grandi città – non può essere trascurata se si parla di politiche abitative: fragilità demografiche, fragilità economiche e fragilità abitative si intersecano, creando situazioni di marginalità anche tra coloro i quali un reddito, evidentemente non sufficiente, ce l’hanno.
Anche chi una casa ce l’ha è esposto a un fattore di vulnerabilità per diverse ragioni: si pensi agli anziani, alle famiglie immigrate, alle giovani coppie che hanno ottenuto la proprietà con sacrifici e con un’alta esposizione nei confronti del sistema bancario dei mutui, magari optando per soluzioni immobiliari modeste.
Solo politiche abitative con un ruolo di coordinamento da parte dei soggetti pubblici, integrate con quelle relative alle rigenerazione urbana, possono fornire risposte adeguate alla domanda abitativa e, contestualmente, possono promuovere importanti risultati per la riorganizzazione delle città e dei territori; ma è davvero necessario un cambio di paradigma, con una visione strategica che si fa fatica ad intravedere.
*Area Studi – Dip. Cultura e Ricerca Cgil Milano