Mercoledì 24 approda alla Camera la controversa proposta di riforma della legge che regola l’export di armi italiane: la 185 del 1990. Per molti anni una delle legislazioni più avanzate al mondo, per gli strumenti di controllo e accesso alle informazioni che ha messo a disposizione di Parlamento e società civile. Il primo triste dato di fatto è che i partiti della maggioranza di Governo non hanno presentato alcun emendamento rispetto alle modifiche già approvate al Senato, mentre le opposizioni circa 50.
Ma vediamo nel dettaglio quali sono i punti critici di una riforma che sembra voler tutelare più che altro gli interessi delle lobby del comparto bellico e perché oggi più che mai è importante portarla al centro del dibattito.
Leggendo le modifiche approvate in Senato, il quadro che ne esce è piuttosto desolante: ci sarà meno trasparenza sulle esportazioni e maggiore discrezionalità per il Governo, su come verranno prese le decisioni riguardo a vendite o divieti. Se il testo rimarrà così, assisteremo ad uno svuotamento di senso della legge per come l’abbiamo conosciuta.
La normativa in vigore ha infatti imposto fino ad oggi una Relazione annuale in Parlamento molto dettagliata sui volumi, le tipologie di armamenti, i Paesi destinatari, i produttori e i soggetti finanziatori dell’export di armi made in Italy, mentre adesso rischia di contenere molti meno dettagli. Tutto a discapito delle funzioni di controllo e indirizzo parlamentare, nonché della capacità della società civile di poter accedere a dati fondamentali, che di fatto determinano indirizzi di politica estera e difesa del nostro Paese.
L’eliminazione della trasparenza sui finanziamenti delle banche
Uno dei passi indietro più gravi è l’eliminazione della parte di Relazione che rende esplicite le interazioni tra banche e aziende produttrici, ovvero l’elenco degli istituti di credito che finanziano il comparto responsabile dell’import/export e transito di armamenti. Un punto che era stato ottenuto grazie alla ben nota campagna “Banche armate” (nel 2000), che esercitò una grande pressione sul Governo e sulle banche per rendere pubbliche queste informazioni chiave. E sebbene già dal 2013 i dati non siano più cosi accurati come in precedenza, eliminarli completamente è come tornare alla situazione opaca pre anni ’90.
La modifica inevitabilmente avrà ripercussioni anche sul sistema bancario: senza questo strumento i singoli istituti saranno direttamente sollecitati dai loro clienti e dai consumatori nel dare comunicazione delle loro operazioni. Aumenterà quindi la pressione e la richiesta di una riorganizzazione della modalità con la quale comunicano su questi temi, sapendo che la trasparenza del sistema bancario è percepita come un valore da parte di clienti e consumatori.
Lo smantellamento dei controlli per lo stop all’export verso i Paesi che violano i diritti umani
L’altro punto alquanto discutibile della riforma è, come in parte anticipato, l’introduzione di un criterio di “discrezionalità politica” nelle mani del Governo, sullo stop alle esportazioni di armamenti verso Paesi in conflitto o responsabili di violazione dei diritti umani. La decisione potrebbe infatti essere affidata esclusivamente al Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa, eliminando controlli essenziali da parte degli organi preposti ad esprimersi in merito.
Un elemento non molto rassicurante, tenendo conto che ad oggi l’Italia ha accordi di cooperazione militare con circa 70 paesi, tra cui un numero significativo dove il rischio di violazione dei diritti umani è all’ordine del giorno. Accordi che tra l’altro già permettono di poter aggirare le procedure di controllo la legge (come nel 2005 sottolineò l’allora deputato Sergio Mattarella nel corso di un dibattito sull’intesa con l’Algeria).
La combinazione di questi elementi può quindi creare una vasta zona grigia di disapplicazione della legge, giustificandola. Per mitigare questo rischio, perciò, occorre che il “via libera” preventivo a qualsiasi vendita di armi sia sempre bilanciato dall’analisi tecnica e informata degli uffici preposti presso la Presidenza del Consiglio, il Ministero della Difesa e il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Purtroppo però non solo si vuole indebolire il ruolo degli uffici tecnici, ma si intende anche cancellare la possibilità per l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento del Ministero degli Esteri (Uama) di interfacciarsi con le Ong internazionali che operano in molti dei “Paesi a rischio”. Negandogli così la possibilità di ricevere informazioni sulla violazione dei diritti umani o del Diritto Umanitario Internazionale, come abbiamo fatto nelle ultime settimane per la situazione a Gaza o qualche anno fa sullo Yemen, portando allo stop dell’export verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Una scelta che appare incomprensibile, se non nell’ottica di evitare qualsiasi tipo di interferenza.
Un altro strumento che permetterebbe di ridurre il rischio di export di armi italiane verso paesi in conflitto o responsabili della violazione dei diritti umani sarebbe inoltre l’inserimento, nel nuovo testo di legge, di un esplicito riferimento al Trattato sul Commercio di Armi (Arm Trade Treaty, Att), ratificato all’unanimità dall’Italia nel 2013. In questo modo, nonostante le carenze della nuova normativa in termini di controllo, si dovrebbe comunque far riferimento agli stingenti criteri contenuti nel Trattato.
Infine è preoccupante la cancellazione dell’Ufficio di coordinamento della produzione di materiali di armamento (all’interno della Presidenza del consiglio), che ha l’importante funzione di promuovere progetti di riconversione dell’industria bellica, obiettivo che rimane nella Legge ma che non ha più nessun organo ad attuarlo.
La mobilitazione della società civile per bloccare la riforma
Per tutti questi motivi è quindi evidente come l’obiettivo di questa modifica della Legge 185 sia svuotare di significato le ragioni per cui è nata, ovvero quella di regolare e rendere trasparente il commercio delle armi.
Questa riforma, così come voluta dalla maggioranza, si piega al volere delle lobby del comparto bellico italiano (il cui fatturato è cresciuto dell’86% negli ultimi cinque anni) e mira ad avere un mercato selvaggio, estendendo la possibilità di vendere armi a paesi che sistematicamente violano i diritti umani. Un trend che tra l’altro appare confermato dalla volontà del Governo di aumentare le spese militari fino al 2% del Pil dall’1,6% del 2023. Un dato che già ha portato l’Italia tra i primi 15 paesi al mondo per spese militari.
Il risultato non potrà che essere un mondo più insicuro e pericoloso. Per questo Oxfam, assieme a Banca Etica, Rete Italiana Pace e Disarmo e molte organizzazioni della società civile, ha promosso la mobilitazione “Basta favori ai mercanti di armi! Difendiamo la trasparenza e la democrazia nel commercio di armi”, per chiedere al Parlamento di non peggiorare i meccanismi di autorizzazione e controllo e i presidi di trasparenza sull’esportazione di armamenti previsti dalla legge 185 del 1990. Si può aderire qui.