Insieme al Friuli Venezia Giulia dove – causa allerta peste suina – si pensa all’abbattimento di 4mila cinghiali, c’è anche l’Emilia-Romagna che chiede interventi drastici per evitare enormi danni economici alla produzione di salumi. Non ci sono stati contagi negli allevamenti suini, ma finora sono state trovate 150 carcasse di cinghiali positive al virus. Interessate le province di Piacenza e Parma. Le positività fanno subito scattare l’allerta e i relativi provvedimenti. L’export di salumi è bloccato verso Giappone, Cina, Corea del Sud e Taiwan, mentre in altri Paesi ci sono limiti e si esportano solo mortadella e prosciutto cotto o, come negli Usa, solo prosciutto crudo a lunga stagionatura che inattiva il virus. Nei giorni scorsi il Canada ha bloccato il prosciutto di Parma.
L’assessore regionale all’Agricoltura in Emilia-Romagna, Alessio Mammi, intervenuto nelle Commissioni Politiche per la salute e Politiche economiche, ha chiesto di ridurre drasticamente il numero dei cinghiali eradicando il virus per salvare gli allevamenti e le esportazioni di carne di maiale, perché il rischio di ricadute dell’epidemia sulle imprese e sull’occupazione potrebbe essere drammatico.
“L’emergenza è nazionale – ha sottolineato Mammi – e non si può pensare di convivere con il virus, ma occorre puntare alla sua eradicazione perché la nostra produzione di salumeria è un’eccellenza conosciuta a livello mondiale. La Psa sta producendo danni economici con mercati chiusi in Estremo oriente e altri Paesi che minacciano il blocco dell’export. Ci sono problemi negli allevamenti, anche se finora non stati raggiunti dal virus, con la riduzione dei prezzi e la perdita di reddito. Ci sono conseguenze gravi sul piano economico che possono trasformarsi in problemi sociali, perché alcune aziende hanno già chiesto la cassa integrazione“. “Occorrono sospensione dei mutui, sostegno ai lavoratori, agevolazioni fiscali”. L’assessore Mammi ha chiesto “un incontro al governo: dobbiamo salvaguardare l’export, riaprire i mercati di Giappone e dell’Estremo oriente, avere un confronto con la Ue sui selvatici infetti (se viene trovata una carcassa a 15 chilometri da un salumificio, a quest’ultimo vengono imposte limitazioni)”. Dalla Regione sono stati stanziati 10 milioni per la biosicurezza negli allevamenti: barriere di protezione e tecnologie per la sanificazione. “Se oggi il virus non è entrato in nessun allevamento è grazie alla prevenzione attuata con risorse e formazione”.
“Il rischio grosso che stiamo correndo è di perdere un settore importante, un’eccellenza del made in Italy. La Cina già non importa i nostri prosciutti da due anni, come anche la Corea e il Giappone. Adesso anche il Canada e se poi decideranno di fare la stessa cosa Stati Uniti, Francia e Germania che rappresentano i nostri principali mercati allora resteremo con i maiali negli allevamenti e i prosciutti nei prosciuttifici. Questo perché – spiega Elio Martinelli, presidente di Assosuini – il 30% dei prosciutti che si producono in Italia vengono esportati. Se crolla l’export sarà una catastrofe per i 4mila allevamenti italiani e per i trasformatori ma anche per tutto l’indotto”. E per Martinelli “se crolla l’export le aziende non avranno alternativa che chiudere e se, guardiamo all’esempio della Germania che ha affrontato il problema prima di noi, adesso il Paese fa segnare un 20% in meno di allevamenti dopo la fine dell’emergenza. Questo fa capire che una volta chiusa l’attività è difficile che questa riparta dopo la fine dell’emergenza”.