La festa di Liberazione dal nazifascismo è momento fondante della Costituzione italiana. Il messaggio di Sergio Mattarella per il 25 aprile è un richiamo a tutte le forze politiche, a partire da quelle governative che spesso sono state deboli se non riluttanti sul tema, perché l’antifascismo sia il valore di partenza per chiunque vuole rappresentare la Repubblica italiana. “Il 25 aprile è per l’Italia una ricorrenza fondante”, ha detto intervenendo alle celebrazioni a Civitella in Val di Chiana, “la festa della pace, della libertà ritrovata, e del ritorno nel novero delle nazioni democratiche. Quella pace e quella libertà, che – trovando radici nella resistenza di un popolo contro la barbarie nazifascista – hanno prodotto la Costituzione repubblicana, in cui tutti possono riconoscersi, e che rappresenta garanzia di democrazia e di giustizia, di saldo diniego di ogni forma o principio di autoritarismo o totalitarismo”. Il presidente della Repubblica ha quindi rievocato l’importanza dell’antifascismo: “Intorno all’antifascismo è possibile e doverosa l’unità popolare, senza compromettere d’altra parte la varietà e la ricchezza della comunità nazionale, il pluralismo sociale e politico, la libera e mutevole articolazione delle maggioranze e delle minoranze nel gioco democratico”.
Perché il passato non si riproponga, Mattarella si è appellato nuovamente all’importanza della memoria: “Occorre – oggi e in futuro – far memoria di quelle stragi” nazifasciste “e di quelle vittime e sono preziose le iniziative nazionali e regionali che la sorreggono. Senza memoria, non c’è futuro“, ha dichiarato. “All’infamia della strage di Marzabotto, la più grande compiuta in Italia, seguì un corollario altrettanto indegno: la propaganda fascista, sui giornali sottoposti a controlli e censure, negava l’innegabile, provando a smentire l’accaduto, cercando di definire false le notizie dell’eccidio e irridendo i testimoni”. E ancora: “Il fascismo aveva in realtà, da tempo, scoperto il suo volto, svelando i suoi veri tratti brutali e disumani. Come ci ricorda il prossimo centenario dell’assassinio di Giacomo Matteotti“.
“Non c’è parte dell’Italia che non abbia patito la violenza nazifascista” – Mattarella ha quindi rievocato le stragi nazifasciste avvenute nel nostro Paese. “Sono venuto, oggi, qui – uno dei luoghi simbolo della barbarie nazifascista – per fare memoria di tutte le vittime dei crimini di guerra trucidate in quel 1944, sul territorio nazionale e all’estero”. Perché, ha detto ancora, “non c’è parte del suolo italiano – con la sola eccezione della Sardegna – che non abbia patito la violenza nazifascista contro i civili e non abbia pianto sulle spoglie dei propri concittadini brutalmente uccisi”. Proprio la Toscana “è tra quelle che hanno pagato il più alto tributo di sangue innocente, insieme all’Emilia Romagna e al Piemonte. La magistratura militare e gli storici – ha rimarcato -, dopo un difficile lavoro di ricerca, durato decenni, hanno, finora, documentato sul territorio italiano cinquemila crudeli e infami episodi di eccidi, rappresaglie, esecuzioni sommarie“.
Per le celebrazioni di quest’anno, Mattarella è andato a Civitella in Val di Chiana: “Siamo qui riuniti, a ottant’anni dalla terribile, disumana, strage nazifascista perpetrata, in questo territorio, sulla popolazione inerme”, ha detto, sottolineando che “gli eccidi avvennero, oltre che a Civitella, a Cornia, dove la crudeltà dei soldati della famigerata divisione Goring si sfogò in maniera particolarmente brutale, con stupri e uccisioni di bambini”. E ha ricordato ancora il Capo dello Stato: “Nella stessa giornata si compiva, non lontano da qui, un altro eccidio, a San Pancrazio, dove furono sterminate oltre settanta persone. Come è testimoniato dai documenti processuali, gli eccidi furono pianificati a freddo, molti giorni prima, e furono portati a termine con l’inganno e con il tradimento della parola. Si attese, cinicamente, la festa dei Santi Pietro e Paolo per essere sicuri di poter effettuare un più numeroso rastrellamento di popolazione civile”. “La tragica contabilità del 29 giugno del ’44, in queste terre racconta di circa 250 persone assassinate – ha continuato Mattarella -. Tra queste, donne, anziani, sacerdoti e oltre dieci minorenni. Il più piccolo, Gloriano Polletti, aveva solo un anno. Maria Luisa Lammioni due. Il parroco di Civitella, don Alcide Lazzeri, e quello di San Pancrazio, Don Giuseppe Torelli, provarono a offrire la loro vita, per salvare quella del loro popolo, ma inutilmente. Furono uccisi anch’essi, insieme agli altri. Alcuni ostaggi, destinati alla morte, rimasero feriti o riuscirono a fuggire. Nei loro occhi, stupefatti e impauriti, rimarrà per sempre impresso il ricordo di quel giorno di morte e di orrore”.
“La propaganda fascista negava l’innegabile” –Il capo dello Stato si è poi soffermato sulla propaganda fascista e sulle pressioni contro la narrazione della verità. “All’infamia della strage di Marzabotto”, ha detto Mattarella, “la più grande compiuta in Italia, seguì un corollario altrettanto indegno: la propaganda fascista, sui giornali sottoposti a controlli e censure, negava l’innegabile, provando a smentire l’accaduto, cercando di definire false le notizie dell’eccidio e irridendo i testimoni”. Ma in Italia c’è chi reagì, permettendo il riscatto dell’intera nazione. “L’8 settembre, con i vertici del Regno in fuga, fece precipitare il Paese nello sconforto e nel caos assoluto. Ma molti italiani non si piegarono al disonore. Scelsero la via del riscatto. Un riscatto morale, prima ancora che politico, che recuperava i valori occultati e calpestati dalla dittatura. La libertà, al posto dell’imposizione. La fraternità, al posto dell’odio razzista. La democrazia, al posto della sopraffazione. L’umanità, al posto della brutalità. La giustizia, al posto dell’arbitrio. La speranza, al posto della paura”. Per il fascismo “essere pietosi verso altri esseri umani era di per sé una manifestazione di antifascismo e di resistenza, quale che ne fosse l’ispirazione, laica o religiosa. Il fascismo aveva insita la ideologia della violenza, la pietà non era prevista”, ha detto ancora il capo dello Stato citando le parole dello storico Claudio Pavone. “La Resistenza, nelle sue forme così diverse, contribuì in misura notevole all’avanzata degli Alleati e alla sconfitta del nazifascismo“.
“La resistenza usò le armi perché queste tacessero” – Mattarella ha fatto anche un passaggio sulla resistenza armata e l’impegno che ha portato poi alla pace in tutto il Paese. “A differenza dei loro nemici”, ha detto il presidente della Repubblica, “imbevuti del culto macabro della morte e della guerra, i patrioti della Resistenza fecero uso delle armi perché un giorno queste tacessero e il mondo fosse finalmente contrassegnato dalla pace, dalla libertà, dalla giustizia. Oggi, in un tempo di grande preoccupazione, segnato, in Europa e ai suoi confini, da aggressioni, guerre e violenze, confidiamo in quella speranza”. Mattarella ha ricordato tutte le lotte che hanno portato al riscatto dell’Italia negli anni di resistenza dal nazifascismo e ha omaggiato chi si è battuto con le armi, ma anche i civili: “Vi fu la Resistenza delle popolazioni, ribellatesi spontaneamente di fronte a episodi di brutalità e alle violenze, scrivendo pagine di splendido eroismo civile. Vi furono le coraggiose lotte operaie, culminate nei grandi scioperi nelle industrie delle città settentrionali. In tutta la Penisola, nelle montagne e nelle zone di mare, si attivò spontaneamente, in quegli anni drammatici, la rete clandestina della solidarietà, del risveglio delle coscienze e dell’umanità ritrovata. A migliaia uomini, donne, religiosi, funzionari dello Stato, operai, borghesi, rischiando la propria vita e quella dei loro familiari, si opposero alla dittatura e alle violenze sistematiche, nascondendo soldati alleati, sostenendo la lotta partigiana, falsificando documenti per salvare gli ebrei dalla deportazione, stampando e diffondendo volantini di propaganda. Fu la Resistenza civile, la Resistenza senza armi, un movimento largo e diffuso, che vide anche la rinascita del protagonismo delle donne, sottratte finalmente al ruolo subalterno cui le destinava l’ideologia fascista – ricorda il capo dello Stato – Scrive a questo proposito Claudio Pavone: ‘Essere pietosi verso altri esseri umani era di per sé una manifestazione di antifascismo e di resistenza, quale che ne fosse l’ispirazione, laica o religiosa. Il fascismo aveva insita la ideologia della violenza, la pietà non era prevista’”.