Quante sono le offerte di lavoro pubblicate attualmente dai servizi per l’impiego in Italia? “Boh?”. E’ la risposta più frequente, e sincera, che si ottiene con questa domanda. Perché è quasi impossibile venirne a capo, visto che ogni regione ha il suo portale, se non addirittura ogni provincia, e quello nazionale semplicemente non c’è. Nulla da stupirsi se, come ha raccontato il Fatto, sul portale dell’Unione europea Eures, dove ci sono 4,5 milioni di offerte, la Germania ne pubblica 800mila e l’Italia fa peggio di tutti con 45 (che poi non sono sue). Il governo Meloni ha affidato all’Inps l’ultima piattaforma nazionale in ordine di tempo, il SIISL, con l’ambizione di farne un punto di riferimento per i disoccupati. Ma l’accesso è negato ai centri per l’impiego e sul portale ci sono poche offerte di lavoro. “Raddoppiando oggi il personale dedicato alle politiche attive, rispetto a Paesi come la Germania saremmo comunque indietro di 10 o 15 anni”, avverte Francesco Giubileo, esperto di politiche del lavoro.

Con la stessa domanda sulle offerte di lavoro, infatti, in Germania, Francia e Spagna, ad esempio, si ottiene una risposta precisa. E coerente con le offerte pubblicate sul portale Eures. Il Servicio publico de empleo estatal, il Sepe spagnolo, propone 49mila posizioni lavorative. La Francia, che su Eures ne pubblica 700mila, sul portale France travail mette la cifra totale in primo piano: 1,2 milioni di offerte. E così per il sito dell’Agenzia federale tedesca, nulla da nascondere, con 859mila offerte. Nel 2023 assicura il ministero del Lavoro italiano, la piattaforma dell’Agenzia nazionale per le politiche attive, il portale MyAnpal, avrebbe raccolto 140mila offerte. Impossibile verificare e così per quelle attualmente disponibili, da selezionare in base al tipo di occupazione dopo essersi registrati e autenticati. Una percentuale dovrebbe però trovarsi anche sulla nuova piattaforma SIISL, voluta dalla ministra Marina Calderone e lanciata dall’Inps lo scorso settembre per gli ex percettori di Reddito di cittadinanza, i cosiddetti “occupabili” che sul portale avrebbero trovato formazione e occupazione. Ma otto mesi dopo il lancio, su SIISL ci sono appena 2.032 offerte per tutta l’Italia, alcune risalenti ai primi di marzo.

Non ci vuol molto a capire che, sulla nuova piattaforma, le offerte che passano dai centri per l’impiego nemmeno ci arrivano. Senza registrazione né autenticazione, infatti, si può accedere ai portali regionali. Uno diverso dall’altro, dal nome alla configurazione grafica. Alcuni si chiamano cliclavoro, come l’altro portale nazionale del ministro del Lavoro, ancora online anche se non è chiaro il perché. Su cliclavoroveneto compaiono 1.875 offerte, su cliclavorocampania 1.128. Per la Sicilia il portale della Regione si chiama SiLav, presenta 167 offerte e sembra permetterci la ricerca anche in altre regioni, ma in Abruzzo, per esempio, segnala una sola offerta. E così sul portale campano, la ricerca in Sicilia restituisce zero offerte. Più complicata ancora è la situazione in Lombardia, dove chi cerca lavoro deve armarsi di pazienza e visitare i portali delle singole province. Dodici in tutto, che tra loro non si parlano e gli annunci di un centro per l’impiego non sono consultabili nelle altre province. “Quante offerte in Regione? Difficile dirlo”, risponde un operatore lombardo. E in Italia? “Ah, no, quello è impossibile saperlo”, assicura. I numeri sono così tutti a vantaggio delle piattaforme private. In Friuli Venezia Giulia, sul portale lavorofvg ci sono 414 offerte. Nella stessa Regione, il colosso Indeed ne propone ottomila. Lo stesso in Puglia: 1.299 su lavoroperte e 4.170 su Indeed, principale operatore privato in Italia insieme a Linkedin.

“In Italia continuiamo a investire in orientamento e formazione, ma chi non ha un reddito cerca innanzitutto di averne uno e non sempre può permettersi l’acquisizione di competenze, che è un percorso difficile”, spiega Francesco Giubileo, che considera “anacronistico” il programma Garanzia occupabilità lavoratori (Gol) legato ai fondi del Pnrr e tutto incentrato sulla riqualificazione. “Più che di politiche attive dovremmo parlare di politiche abitative, visto che la mobilità dei lavoratori non riusciamo a garantirla nemmeno tra le diverse aree del Paese”. Oltre a questo, suggerisce, “come già hanno fatto all’estero, di investire sulla validazione dei titoli di studio stranieri“.

Quanto all’interoperabilità tra banche dati, la questione si perde nella notte dei tempi, dall’esperimento fallito della Borsa Lavoro ai navigator messi a fare i data entry, inserendo uno ad uno i dati di oltre due milioni di aziende nel progetto MOO (Mappatura Opportunità Occupazionali). Che fine hanno fatto tutti quei dati? Altra domanda senza risposta. “La scelta dell’Inps per la nuova piattaforma SIISL non è sbagliata, perché consente di integrare i dati delle schede anagrafiche dell’intera utenza, non è poco. Ma l’Istituto non ha esperienza sull’incontro tra domanda e offerta, e se vuoi una piattaforma come quelle degli altri Paesi devi dotarti di struttura e personale: dietro al portale tedesco ci sono diecimila persone che fanno parte di una struttura, quella delle politiche attive, che ne conta 100mila”. Ma sopratutto, aggiunge, “non possiamo permetterci una classe politica che sa poco o nulla di politiche attive e nondimeno fa tabula rasa di tutto appena arriva: per funzionare una politica attiva ha bisogno di 5 o 10 anni almeno, lo sanno?”.

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