In questo anno di Premier League si sono visti dei risultati da capogiro: 0-8, 6-1, 4-4. Vere e proprie grandinate di reti che, piano piano, si sono sommate fino a sfondare per la seconda volta consecutiva il record di gol complessivi segnati in un singolo campionato di 380 partite. Per ora siamo arrivati a 1096, ma il numero è destinato a gonfiarsi ulteriormente visto che mancano ancora quattro giornate intere alla fine della stagione più alcuni recuperi di precedenti weekend. La stagione 22/23 terminò con 1.084 gol segnati, rompendo il primato di 1.072 dell’edizione 18/19, ma il traguardo arrivò soltanto all’ultima giornata, il 28 maggio. Stavolta il nuovo record viene raggiunto con un mese di anticipo rispetto al 2023 e questo dice molto su quanto si sia segnato quest’anno. Non tutto, però, perché fra le ragioni non ci sono solo le fervide accuse rivolte, come spesso accade, alla leggerezza delle difese inglesi, ma anche l’eccellenza degli attacchi, guidati da allenatori con idee sempre più offensive che cercano di creare migliori occasioni da gol e composti da attaccanti che davanti alla porta sbagliano sempre meno.
Boom di big chances – Per circa 15 stagioni la quota di gol segnati a partita è rimasta sostanzialmente la stessa, racchiusa fra 2.48 e 2.86, mentre quest’anno ha sfondato quota 3 reti a gara, attestandosi precisamente sui 3.26. A contribuire all’aumento significativo è il botto delle cosiddette “big chances“. Prima dei numeri, una piccola spiegazione: secondo il dizionario del portale di statistiche Opta, queste sono le “situazioni in cui ci si dovrebbe ragionevolmente aspettare che un giocatore segni, di solito in uno scenario uno contro uno o da una distanza molto ravvicinata“. Simili occasioni sono aumentate a dismisura fino a toccare un 1.8 di media a partita (senza i rigori) che ridimensiona il record di 1.54 della stagione 22/23 e ridicolizza la media di 1.33 dei 12 anni precedenti (mai comunque oltre 1.5). Se il trend è in aumento lo si deve in particolare agli allenatori che popolano il campionato inglese: Guardiola, Klopp (che andrà via a giugno), Arteta, Emery, De Zerbi e non solo fanno dell’attacco il loro mantra, cercando di imporre sistemi di pressing e di passaggio attraverso cui ricercare appunto le big chances, circostanze di gioco che poi giocatori sempre più tecnici e cinici convertono facilmente per dare forma ai tanti gol per partita citati poco sopra. Insomma, la particolare fase tattica che stiamo vivendo in questi anni sembra aver creato un ambiente dove si segna a valanga, specialmente in Premier. Ah, e in tutto questo il Luton Town, attualmente in fondo alla classifica, è la squadra che detiene la percentuale migliore di conversione big chances/gol nei top 5 campionati europei: 59.3%.
Dal dischetto – Meritano una citazione a parte i rigori, considerati dal dizionario Opta “sempre parte delle big chances”. Da quando il campionato inglese si chiama Premier League, cioè dal 1992/1993, la stagione corrente è una delle peggiori in termini di rigori assegnati e, a un mese dalla fine, non ha grandi margini per migliorare. Tuttavia è la migliore per tasso di tiri dagli undici metri trasformati in gol: 90.3%, che è di gran lunga superiore al secondo miglior dato pari all’83.9% del 13/14. Questo ha tenuto sostanzialmente in linea con i campionati precedenti il numero di gol segnati da rigore, permettendo di non perdere quota ma di continuare a rifocillare il totale di reti segnate in un singolo campionato. Dagli allenatori, ecco come il nuovo record stagionale di gol passa anche dalla freddezza degli attaccanti. L’eccellenza si deve in particolare a spietati interpreti come Cole Palmer, in cima alla classifica dei cannonieri grazie ai 9 rigori segnati sui 12 ricevuti dal Chelsea, Bukayo Saka con 5 su 5 (l’Arsenal ne ha tirati 9 e non ne ha mai sbagliato uno) ed Erling Haaland del Manchester City con 4 su 5. In generale sono 13 su 20 le squadre di Premier che possono contare sul 100% di realizzazione dal dischetto, fra cui Newcastle e Brighton.
Recuperi più lunghi – Alla base del muro sfondato c’è, ultima ma non per importanza, l’impennata dei minuti di recupero assegnati, che si traduce in un’equazione semplice: più partita, più gol. Un cambio di rotta in questo senso si è avuto soprattutto dai Mondiali di calcio in Qatar del 2022, cioè da quando si è deciso di allungare i recuperi per riprendere gran parte di quei secondi persi a causa delle simulazioni, delle proteste (spesso inutili) e delle sostituzioni dei giocatori e rendere più corposo il tempo di gioco effettivo. Per questo dai classici 2,3,4 minuti a tempo si è passati a larghi e sempre più frequenti 6,7,8 minuti di injury time, così come si dice in Inghilterra. In Premier League il totale complessivo è schizzato sopra quota 11 minuti nel 23/24, staccando gli oltre 8 del 22/23 e il limbo sempre compreso fra 6 e 8 del periodo 2008-2022. In linea con ciò la percentuale di gol segnati nei minuti di recupero è aumentata del 90%, da 0,11 gol a partita a 0,21, anche perché nel massimo campionato inglese si segna moltissimo nei finali, quando gli attacchi si fanno arrembanti e le difese, con le gambe dei giocatori, molleggianti. Non a caso allora le fasce di partita in cui si esulta di più rispetto alle altre sono quelle 41-50 e, soprattutto 81-90 (entrambe comprensive di recuperi). Secondo SoccerStats in quest’ultima alcune squadre fanno registrare il loro record di gol o il secondo dato migliore. Per esempio l’Arsenal ne ha segnati 16, l’Aston Villa 13, il Fulham 10, il Liverpool ben 19, il Luton Town e il Newcastle 15. E sono tanti altri i club ad andare in doppia cifra. Le difese faranno acqua, ma gli attacchi fanno paura.