di Roberto Iannuzzi *
Secondo due recenti inchieste israeliane, le forze armate di Tel Aviv hanno fatto ampio ricorso a due sistemi fondati sull’intelligenza artificiale nel corso della loro devastante operazione militare a Gaza. “The Gospel”, il primo, elabora milioni di dati per identificare a gran velocità edifici e altre strutture da cui potrebbero operare i miliziani palestinesi, trasformandoli così in bersagli da distruggere. Il secondo, denominato “Lavender”, individua invece sospetti membri dell’ala militare di Hamas e della jihad islamica, processando anche in questo caso infinità di dati che vanno dalle intercettazioni telefoniche all’adesione a gruppi Whatsapp.
Il programma stila così una graduatoria di probabile appartenenza, che va da 1 a 100. Gli individui che figurano ai vertici di tale classifica vengono sorvegliati da un sistema chiamato “Dov’è papà?”, il quale invia un segnale quando il “sospettato” rientra a casa, dove viene bombardato (insieme alla sua famiglia).
The Gospel e Lavender sono solo le ultime due spaventose incarnazioni di un’industria sempre più fiorente, che applica tecnologie di ultima generazione all’ambito bellico, e che vede Israele all’avanguardia mondiale nel settore. Come lo Stato ebraico sia divenuto uno dei maggiori esportatori di armi, e abbia rivoluzionato l’industria bellica attraverso il connubio fra le startup tecnologiche e il settore pubblico della difesa, utilizzando i Territori palestinesi occupati come un laboratorio per testare nuovi armamenti e rivoluzionari sistemi di sorveglianza, è una storia che da tempo sarebbe stato necessario raccontare.
Lo ha fatto con grande maestria, analizzando un’impressionante quantità di informazioni, il giornalista ebreo australiano Antony Loewenstein nel suo libro Laboratorio Palestina, recentemente uscito anche in Italia (Fazi Editore, traduzione di N. Mataldi, 2024).
Loewenstein ricostruisce come, fin dagli anni ’50 del secolo scorso, le riparazioni pagate dalla Germania Ovest e poi gli aiuti americani e francesi abbiano contribuito a far decollare il settore israeliano della difesa. Nel 2021, le esportazioni hanno raggiunto la cifra record di 11,3 miliardi di dollari, un aumento del 55% rispetto ai due anni precedenti. Le imprese israeliane della cyber-sicurezza hanno intascato nello stesso anno il 40% degli introiti mondiali nel settore.
Lo sviluppo dell’industria bellica israeliana, spiega Loewenstein, è stato reso possibile anche dalla stretta collaborazione con Washington. Per decenni, Israele ha operato in luoghi dove gli Stati Uniti preferivano mantenere un basso profilo. Così, Tel Aviv ha collaborato con le forze di polizia di Guatemala, El Salvador e Costa Rica nel periodo in cui il Congresso Usa aveva vietato alle agenzie governative americane di farlo. Tel Aviv vendette armi al Cile di Pinochet, e collaborò strettamente con il Sudafrica dell’apartheid. Quando gli Usa crearono e sostennero gli “squadroni della morte” in chiave anticomunista in Nicaragua, Honduras, Colombia, El Salvador e Panama, Israele svolse un ruolo essenziale nel fornire loro armi e addestramento.
L’11 settembre rappresentò un punto di svolta per l’industria israeliana della difesa e della sicurezza. Il messaggio di Tel Aviv al mondo era chiaro: “Noi combattiamo una guerra contro il terrorismo sin dalla nostra nascita. Vi mostreremo come si fa”. Aziende israeliane hanno garantito la sicurezza delle Olimpiadi di Atene nel 2004 e di Pechino nel 2008, e perfino delle basi Onu in Mali. La tecnologia israeliana viene impiegata nel respingimento dei migranti alla frontiera fra Stati Uniti e Messico, ma anche nella militarizzazione dei confini europei e nel loro monitoraggio da parte dell’agenzia Frontex.
Società israeliane come Cellebrite e NSO hanno venduto software per lo spionaggio dei telefoni cellulari in tutto il mondo, e anche a numerosi dipartimenti di polizia negli Usa. NSO, società strettamente legata allo Stato israeliano, ha avuto numerosi rapporti di collaborazione con dittature arabe come Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. Le tecnologie di NSO sono state sviluppate da veterani dell’Unità 8200, agenzia di intelligence del governo israeliano. La società fu accusata di complicità nell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, avendo il suo software Pegasus permesso alla monarchia saudita di seguire i movimenti del giornalista prima della sua uccisione.
La crescita del settore israeliano della difesa e della sicurezza è inseparabile dall’occupazione palestinese. I sistemi biometrici e di riconoscimento facciale, di monitoraggio dei telefoni cellulari, le telecamere controllate dall’intelligenza artificiale, vengono testati quotidianamente a Gaza e in Cisgiordania, in particolare presso gli innumerevoli checkpoint che rendono impossibile la vita dei palestinesi. Molti di questi posti di blocco sono gestiti da società private, che a loro volta assumono veterani dell’esercito e dell’intelligence.
Loewenstein mostra minuziosamente come tale sistema di sorveglianza si fondi su una totale disumanizzazione dei palestinesi, i quali diventano soggetti nei confronti dei quali è possibile esercitare solo un sistema di repressione e controllo totalizzante. Ma il suo libro spiega anche chiaramente che la logica capitalistica alla base di questo sistema fa sì che esso venga esportato a livello mondiale, e sempre più utilizzato non solo a fini di repressione militare, ma anche di controllo civile.
* Autore del libro “Se Washington perde il controllo. Crisi dell’unipolarismo americano in Medio Oriente e nel mondo” (2017).
Twitter/X: @riannuzziGPC
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